Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica
Sorvoliamo sull’inchiesta penale della casa di Montecarlo che doveva «solo» appurare se il prezzo di vendita dell’appartamento monegasco era congruo oppure no (e quando s’è scoperto che era di quattro volte inferiore s’è deciso di non tenerne più conto e girare il tutto al giudice civile). Sorvoliamo sulla circostanza che i pm non hanno mai interrogato i due maggiori protagonisti dell’affaire estivo (il signor Fini e il signor Tulliani) ma si sono preoccupati di iscrivere sul registro degli indagati il presidente della Camera solo il giorno della richiesta d’archiviazione. Sorvoliamo pure sul dettaglio che l’autorità giudiziaria si è ben guardata dall’investigare sulle off-shore di Saint Lucia che hanno acquistato l’appartamento donato dalla contessa Anna Maria Colleoni ad An in quel di Montecarlo (società costituite guarda caso pochi giorni prima del business) e che le autorità caraibiche fanno risalire direttamente a Giancarlo Tulliani, cognato di Gianfranco, presidente del partito cui la casa era stata donata per «una buona battaglia».
INTERROGATORIO? NO GRAZIE
Sorvoliamo per carità di patria. E concentriamoci sui misteri del caso Fini-Tulliani: nel 2008 una società off-shore (Printemps ltd) acquista da An l’immobile donato dalla contessa Colleoni in Boulevard Princesse Charlotte 14 a un quarto del suo valore. Di lì a poco lo rivende per soli 30mila euro in più a un’altra off-shore (Timara ltd) che ha sede sociale allo stesso indirizzo dello Stato insulare ai Caraibi. Perché? Per nascondere la tracciabilità dell’operazione? Per dimostrare che l’inquilino Tulliani (quello che aveva proposto a Fini l’operazione conoscendo la Printemps) è lì per caso tanto che paga 1.600 euro al mese? Bah. A forza di scavare il Giornale scopre che entrambe le società (Printemps e Timara) fanno parte di un complicato network di scatole societarie nel quale operano personaggi come James Walfenzao (presente al primo rogito con An, e addirittura domiciliario delle bollette personali dell’affittuario Tulliani).
FIRME E SOCIETA’
Un rompicapo, anche perché chi ristruttura la casa non sa se paga Tulliani (sempre presente ai lavori) o i proprietari della Timara. Un giorno, però, spunta il contratto d’affitto dove proprietario e affittuario hanno la stessa firma. Vuol dire che sono la stessa persona? Quanto alla conoscenza della compravendita e dello stato dei lavori, Fini giura di non aver mai saputo nulla, poi si contraddice rivelando una data che non poteva conoscere (quella della seconda compravendita) e a seguire nega altre cosucce. Come l’esistenza di offerte fatte al partito per l’acquisto dell’immobile: inquilini, testimoni vari, il suo ex commercialista, ben due senatori suo partito. Persino nell’atto dei pm che chiederanno l’archiviazione vi è la prova della sua «non verità» sulle offerte extra, ricevute e ignorate. Imbarazzato e all’angolo, Fini ha giocato spesso con le parole raccontando, per esempio, d’aver avuto l’«abbocco» immobiliare dal cognato («esperto nel settore», cosa che non risulta nel Principato) e di aver dato mandato a Pontone di vendere una volta che gli uffici di An avevano valutato «congruo» il prezzo. Peccato che la «congruità» si riferiva a nove anni prima, e che con 300mila euro nel 2008 ci si poteva comprare un box auto o poco più (mentre il commercialista Apolloni Ghetti ha dichiarato che nel 2002 arrivò a offrire 1,3 milioni di euro).
I LAVORI DI ELISABETTA
E ancora. Gianfranco Fini ha sempre negato di esser mai stato a Montecarlo, eppure più testimoni sostengono il contrario. Non ultimo un pezzo da novanta di Monaco, l’immobiliarista Luciano Garzelli, fiduciario del principe Casiraghi che parlò con l’ambasciatore italiano tartassato da Tulliani e che si scambiò le mail con la signora Tulliani e con il suo architetto per le ristrutturazioni da svolgere. Garzelli ha chiesto inutilmente alle toghe romane di ascoltarlo: «Il signor Tulliani mi chiamò da Roma, era inizio luglio, mi disse testualmente che il presidente Fini con la sua compagna erano stati nell’appartamento il giorno prima e per una perdita d’acqua il parquet si era sollevato e che non sono potuti neppure entrare. La signora Tulliani dava istruzioni sia tramite il loro architetto, via mail. Non era il signor Tulliani, era la signora Tulliani che dava istruzioni». Ma insomma, Fini sapeva o non sapeva di questa casa a Montecarlo? In un celebre soliloquio sul web, pure lui qualche dubbio sul cognato se l’è posto. E se n’è uscito così: «Se si scopre che la casa è sua (del cognato, ndr), mi dimetto». I governanti di Saint Lucia hanno scoperto che la casa è di Tulliani, ma il nostro com’è noto non s’è dimesso.
LA CUCINA BOOMERANG
Inchiodato alla poltrona. Sicuro quanto il giorno in cui ci accusò di esserci inventati la storia della cucina Scavolini modello Scenery, «trattata personalmente da Fini e dalla sua signora insieme a uno stock di sedie e tavoli per una casa all’estero», di cui ci avevano parlato due dipendenti del mobilificio romano Castellucci. Pubblicammo l’ordinativo della cucina, l’intervista agli impiegati. Ma lui, ci rise dietro. Il suo entourage fece il resto: «Quella cucina nemmeno c’entra a Montecarlo!». Tempo qualche giorno e Finì si pentì d’aver parlato.
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