Eco fa resistenza snobbando il ministro Bondi: sono deluso

da Milano

«È in pericolo la democrazia» dichiara Umberto Eco nella lettera in cui aderisce al gruppo dei «No Cav» dell’8 luglio, guidato da Furio Colombo, Paolo Flores d’Arcais e Pancho Pardi. Non è però allarme rosso, perché il professore di Alessandria oggi non sarà in piazza Navona ma a Milano, causa precedenti impegni. Non interverrà neppure in video, come invece farà Beppe Grillo: «Quel che avevo da dire l’ho già detto nella lettera. Sono uno scrittore e scrivo, non andrò né mi collegherò, e non ho mai detto che sarei andato» dice nel camerino del Teatro Dal Verme di Milano, dove ha tenuto la lezione «La fiamma è bella» nell’ambito della Milanesiana, la rassegna di letteratura musica e cinema diretta da Elisabetta Sgarbi.
In sala anche il ministro della Cultura, Sandro Bondi, ma quando Elisabetta Sgarbi lo ha ringraziato dal palco di essere intervenuto, dal pubblico sono partiti fischi e buuh. Così Bondi ha lasciato la serata a metà, inseguito da un’imbarazzatissima Elisabetta Sgarbi. Deluso il ministro: «Sembrava che per Eco stringermi la mano fosse un fastidio. È sconfortante vivere in un Paese così. Ero venuto per un omaggio alla manifestazione culturale, mio padre è stato operato stamattina eppure non ho voluto mancare. Ho incontrato persone che non hanno nulla a che fare con la cultura. Sono amareggiato».
Amareggiati saranno anche gli organizzatori del «No Cav day», che ieri hanno inseguito al telefono Umberto Eco fino alle otto di sera, senza neppure riuscire a rintracciarlo. Rimane la missiva: «Cari amici, esprimo la mia solidarietà». E la dotta disamina dei due punti che mettono in pericolo il Paese, e cioè: «Quando la maggioranza sostiene di avere sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia».
La militanza di Eco è di antica data e di provata determinazione antiberlusconiana. Anni fa aveva addirittura proposto di boicottare i prodotti pubblicizzati sulle reti Mediaset. È amico d’infanzia di Gianni Vattimo, il filosofo torinese che nei giorni scorsi ha dichiarato leciti tutti i metodi, escluse le bombe, pur di liberarsi di Silvio Berlusconi.
Eco non è mai arrivato a tanto, ma anche lui è maestro di parole incendiarie. Era lo scorso aprile, piena campagna elettorale, quando intervistato da El Pais immaginava il futuro dell’Italia: «Tutto dipende dal fatto che muoiano una decina di persone che sono ormai molto grandi; è un fatto biologico». Non ci vuole molta fantasia per immaginare a chi si riferisse, anche se non ha compilato una lista di proscrizione.
Girotondino della prima ora, nel 2006 aveva giocato con la parola esilio, lasciando immaginare che fosse disponibile a trasferirsi altrove se il Cavaliere avesse vinto le elezioni. Si era trovato subissato dalle critiche anche della sinistra. D’Alema, Fassino e Travaglio l’avevano giudicata una minaccia troppo radical chic.

Poi lui aveva rettificato e fornito l’interpretazione autentica delle sue parole: «Neppure fossi Giuseppe Mazzini. Ho semplicemente detto: “Pazienza per me, che a ottobre me ne vado in pensione e potrei pure decidere di andare a vivere all’estero, ma la maggioranza di voi in questo Paese ci deve restare”». È rimasto anche lui.

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