Gli ecologisti di oggi? Globalisti e guerrafondai

Negli anni Ottanta il tema del clima era legato a utopie umaniste. Ora interessa a nuove oligarchie

Gli ecologisti di oggi? Globalisti e guerrafondai

Soprattutto a partire dagli anni Ottanta il dibattito politico-culturale è stato segnato dalla presenza di un movimento radicale che univa le ragioni dell'ecologia e quelle della pace. Molti giovani che allora contestavano il sistema lo facevano in nome di una dottrina politica, l'eco-pacifismo, che non soltanto condannava l'imperialismo americano, ma lo faceva invocando il ritorno alla natura e una migliore protezione del globo di fronte all'inquinamento.

In quel periodo i gruppi militanti ambientalisti, dunque, erano contemporaneamente avversi alla civiltà industriale e alla guerra. Molto rilevante, entro quel quadro, fu la battaglia contro l'utilizzo a fini civili dell'energia nucleare: quella scelta nasceva al tempo stesso dall'orrore per Hiroshima e dal rifiuto delle centrali atomiche quali strumenti per la produzione di energia elettrica.

In Europa un ruolo cruciale fu giocato dai giovani tedeschi della sinistra alternativa. Nella storia dei Grünen, in effetti, l'intreccio dei temi ambientalisti e delle battaglie per la pace fu decisivo. Quel movimento spesso raccoglieva quanti in precedenza avevano militato in gruppi marxisti e poi erano rimasti delusi dal materialismo e dall'industrialismo, che sono al cuore della tradizione inaugurata nel 1848 dal Manifesto del partito comunista. Fu comunque il disprezzo per il capitalismo a condurli a coniugare ambiente e pace.

In Italia avvenne qualcosa di simile, con il fiorire di movimenti nelle cui file militavano molti ex di Lotta Continua o di gruppi analoghi. È questo il caso, per fare un nome, di Alex Langer, che fu una figura eminente di quell'ecopacifismo che si collocava all'estrema sinistra. Significativamente, Langer era di Sterzing (in italiano, Vipiteno) e anche per le sue radici linguistico-culturali era particolarmente sensibile a quanto avveniva nel mondo tedesco. In un suo scritto degli anni Ottanta egli dichiarò che bisognava impegnarsi per «liberarsi dalla guerra, dal militarismo, dalla distruzione ecologica, dall'incombere dell'apocalisse civile o militare». Quando insomma gli ambientalisti erano ripetutamente accusati di essere come le angurie (verdi fuori e rossi dentro), anti-militarismo e anti-industrialismo procedevano di pari passo.

Oggi è cambiato tutto. Mentre nei decenni passati l'ecologismo si collocava ai confini dello scacchiere politico, ormai la situazione è completamente diversa. Non soltanto tutti i media e gli uomini politici più influenti pongono la questione ambientale al centro dei programmi, ma è interessante rilevare come a promuovere i pannelli solari, le auto elettriche, le pale eoliche, la chiusura degli allevamenti di bovini e la generale ristrutturazione dell'economia al fine di ridurre le emissioni di CO2 ci siano le grandi società finanziarie. Nel 2020 Laurence D. Fink, chairman e chief executive officer di Black Rock (uno dei maggiori gruppi finanziari), ha inviato una lettera agli imprenditori e ai dirigenti d'impresa per evidenziare come le scelte d'investimento del suo gruppo siano orientate dai valori e dai principi dell'ideologia ESG: ecologica, sociale e governativa.

In altre parole, sono i colossi industriali e bancari oltre che i maggiori leader politici dell'Occidente che oggi guidano la cosiddetta transizione verde e che hanno creato un clima intimidatorio nei riguardi di ogni voce dissidente: si tratti del riscaldamento globale come della pandemia, della fine delle risorse come delle questioni di genere. In tale situazione è significativo che Intel abbia annunciato la costruzione, in Sassonia, di uno stabilimento per i chip necessari alla produzione di auto elettriche. L'accordo, va precisato, prevede che il governo guidato dal socialista Olaf Scholz dia ben 10 miliardi di euro dei contribuenti tedeschi al colosso californiano.

Se l'ecologismo è oggi la filosofia di comodo dei governanti, dei finanzieri, degli intellettuali e dei maggiori mezzi di comunicazione, è perché permette un dominio senza pari. In questo inedito scenario non deve sorprendere che il neo-ambientalismo finanziario di Stato non sia in nessun modo pacifista. D'altra parte, com'è possibile che questo consenso generalizzato sull'ambientalismo esprima perplessità dinanzi al perdurare di un conflitto tanto sanguinoso tra Ucraina e Russia, nel momento in cui i suoi maggiori alfieri politici (da Joe Biden a Emmanuel Macron, a Justin Trudeau) sono in prima linea nel sostenere la guerra e nell'inviare armi a Kiev?

Anche se in modo confuso, il vecchio ecologismo voleva disarmare gli Stati. Sullo sfondo c'era il sogno (ingenuo, senza dubbio) di un'Arcadia senza catene di produzione e senza consumi di massa, ma anche senza eserciti e senza scontri. L'ecologismo odierno, invece, non soltanto è sovvenziato dalle principali società quotate a Wall Street, ma oltre ciò si propone soprattutto nel dibattito americano di disarmare i cittadini. Il politicamente corretto dell'ideologia woke, che ha tra i propri pilastri pure l'ESG, celebra ogni retorica basata su biologico e sostenibilità, ma è in prima linea nella lotta alle discriminazioni di genere o razziali, e anche nella battaglia per abolire il secondo emendamento della Costituzione americana: quello dei gun rights.

Una simile evoluzione dell'ambientalismo è interessante. Ci dice molto sulla sinistra attuale, che ha smesso di contestare il sistema e se n'è appropriata, ma anche sul rapporto sempre più complicato tra potere politico, mondo degli affari, intellettuali e reti informative.

In questi giorni sul quotidiano progressista inglese The Guardian è apparso un pezzo firmato dai ministri dell'ambiente di Australia, Canada e Nuova Zelanda (Chris Bowen, Steven Guilbeault e James Shaw) in cui si chiede una Bretton Woods 2.0: una nuova architettura finanziaria mondiale volta a sostenere linee di credito in grado di affrontare al più presto il riscaldamento globale. I tre uomini politici non si nascondono dietro a dito e parlano apertamente di sbloccare maggiori investimenti a favore del sistema privato, perché nel potere contemporaneo gli interessi e l'ideologia, gli oligarchi delle grandi imprese e i poteri di Stato, s'intrecciano di continuo.

In fondo, nell'eco-pacifismo vi era il persistere di una prospettiva umanista e, non di rado, perfino religiosa. Al contrario, oggi l'ideologia green sostenuta dai governi e dalle principali centrali economiche guarda all'uomo come a un nemico. Ormai non ci stupisce nemmeno più di leggere come hanno scritto alcuni ricercatori di Lund che rinunciare ad avere un figlio rappresenterebbe una riduzione media annua di 58,6 tonnellate di anidride carbonica.

Se l'uomo è il

distruttore del pianeta e se ridimensionare la popolazione globale è la migliore risposta per salvare il mondo, allora anche la guerra può avere entro questa visione distorta della realtà qualche possibilità di essere apprezzata.

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