Economia e finanza

Credit Suisse, ecco chi paga davvero la crisi della banca svizzera

Crac Credit Suisse, chi pagherà il salvataggio della banca?

Le autorità finanziarie che regolano l'attività bancaria in Svizzera hanno esultato per il blitz che porterà Credit Suisse a unirsi gradualmente con Ubs dopo il salvataggio della prima ad opera della Banca nazionale svizzera. Ma la realtà dei fatti trascura, nell'analisi, un dato fondamentale: chi paga per la risoluzione della crisi? Bloomberg sottolinea che ci sono diverse cordate di obbligazionisti che hanno visto il valore dei loro prodotti spazzati via intenti a progettare class action contro la banca.

Gli obbligazionisti si caricano le perdite

Il nodo è chiaro: nelle grandi crisi bancarie post crollo Lehaman Brothers, avvenuto nel 2008, a pagare sono stati, in primo luogo, gli azionisti; nelle crisi europee di insolvenza, come l'Italia insegna, con strumenti come il bail-in è stata fatta ricadere parzialmente sui correntisti l'onere dei salvataggi delle banche in crisi; oggi, invece, Credit Suisse sceglie le obbligazioni più a rischio come bersaglio principale del risanamento e sceglie di spazzarne via per un valore di 16 miliardi di franchi svizzeri. Il nodo è chiarissimo: gli azionisti riceveranno in termini di azioni Ubs, nella procedura di inglobamento di Credit Suisse nell'ex rivale, un valore complessivo di 3 miliardi di franchi svizzeri (circa 3,4 miliardi di dollari) quando, nella norma, non avrebbero dovuto ricevere nulla. La perdita si scarica invece sugli obbligazionisti che avevano sottoscritto le Alternative Tier 1 dopo la Grande Recessione.

Il vero rischio: crollo della fiducia

L'identikit dell'obbligazionista colpito non è un profilo a basso reddito o a rischio di instabilità finanziaria come quelli colpiti, ad esempio, durante le grandi crisi bancarie italiane del 2015-2017. La perdita complessiva però è sanguinosa e lascia presagire un crollo di fiducia nel processo di risanamento bancario. Le AT1, nota il Guardian, "sono un tipo di debito emesso da una banca che può essere convertito in azioni se i suoi livelli di capitale scendono al di sotto dei requisiti. Questo aiuta a ridurre i debiti, mentre dà alla banca un aumento di capitalizzazione. Sono stati introdotti dopo il crollo del 2008 come un modo per "salvare" le banche in fallimento – al contrario di un salvataggio finanziato dai contribuenti – imponendo perdite agli investitori". La liquidità di tali prodotti ha portato però gli obbligazionisti a distanziarsi dalla figura tradizionale dell'azionista che detiene debito della banca. Si tratta principalmente di fondi di wealth management, di risparmiatori ad alto patrimonio e di altre banche di minore taglia che per anni hanno trovato conveniente sostenere di fatto Credit Suisse acquistandone il debito in cambio di cedole sicure.

Invertendo l'ordine delle priorità, gli obbligazionisti sono stati penalizzati prima della presunta "fusione concordata" un po' per evitare agli azionisti di Credit Suisse una debacle totale e un po' per sacrificare ciò che avrebbe potuto danneggiare maggiormente la redditività di Credit Suisse portata in dote a Ubs. Joost de Graaf, co-responsabile del credito europeo presso Van Lanschot Kempen, ha dichiarato alla Cnn che il suo fondo, pur desideroso dei rendimenti che Credit Suisse poteva dare con le obbligazioni AT1, non ha voluto cavalcare la tigre temendo che prima o poi si arrivasse a scenari del genere.

Il rischio di un pericolo precedente

Dunque il costo del salvataggio di Credit Suisse è scaricato su chi ha un profilo di rischio intermedio e, di fatto, sulla collettività. Una collettività fatta di detentori di fondi e dall'alto profilo degli investimenti, la cui penalizzazione decisa da Credit Suisse e Finma, l'autorità regolatrice svizzera, può creare un pericoloso precedente. In Italia i detentori di AT1 di Credit Suisse erano Intesa Sanpaolo, Mediolanum, Unipol e Anima, tutte però con un'esposizione sostanzialmente nulla per quanto riguarda i profili concreti di rischio.

Goldman Sachs, nota il Financial Times, "ha affermato che l'indebolimento di questo tipo di debito nei giorni precedenti rappresenta un'opportunità di acquisto – un segno che gli analisti professionisti lo vedevano ancora come una solida asset class fino alla scorsa settimana" ma dopo l'azzeramento deciso dall'alto sarà ancora così? Più che in Credit Suisse, bisognerà capire quanto grandi saranno le perdite nel resto d'Europa nelle prossime settimane sulle obbligazioni AT1 dei vari istituti.

E c'è da pensare che supereranno di gran lunga i 16 miliardi, anche se in Italia la scarsa liquidità di tale strumento nelle maggiori banche lascia pensare che potrebbero essere poco esposte ai rischi sistemici.

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