Cita un grande poeta del Novecento: Ezra Pound. «Non si può fare una buona economia con una cattiva etica». «Mi pare - spiega Giovanni Reale, bandiera della filosofia italiana e uno dei più apprezzati intellettuali cattolici del nostro Paese - che in quelle parole ci sia già tutto. La crisi drammatica che attraversiamo e il sentiero stretto che dobbiamo percorrere se vogliamo uscire da questa situazione».
Professor Reale, le Borse sono in caduta libera, sulle economie dell'Occidente progredito soffiano venti di recessione e lei parla di etica.
«Vede, il cattolico ha un vantaggio formidabile: il realismo».
Il realismo?
«Sì, il realismo. Quelle parole di Ezra Pound fotografano la malattia del nostro mondo: si è perso di vista il bene comune, si è spinto sull'acceleratore della finanza sempre più creativa, si è smarrito il contatto con la realtà e alla fine la realtà, in qualche modo, si vendica. L'Italia è in crisi, come sono in crisi gli stati Uniti».
Abbiamo vissuto, come ha detto il cardinal Angelo Bagnasco ai microfoni di Radio anch'io, al di sopra delle nostre possibilità?
«Esatto, il cardinal Bagnasco ha centrato in pieno il tema. Sia chiaro: questo non vuol essere un inno al pauperismo, alla mortificazione, alla povertà».
E allora che cosa è?
«Dobbiamo riflettere seriamente sui limiti del capitalismo. O meglio, sul capitalismo selvaggio, per usare un'espressione che rimanda al magistero di Giovanni Paolo II. Non si tratta di dare una spruzzata di valori sulle nostre azioni, no, dobbiamo capire che il lavoro e la ricchezza devono servire al servizio dell'uomo, non devono essere lo scopo finale. Invece, siamo andati avanti, un po' tutti, cercando di spremere, di fare profitto per il profitto, senza porci domande, e sfruttando uomini e risorse come fossero inesauribili».
Risultato?
«L'economia mondiale, spinta dalla finanza selvaggia, è andata in testacoda. Coltivando una pia illusione: quella che il denaro possa generare denaro».
Invece?
«Un giornalista ha riassunto il tutto con un'immagine banale ma efficace: se io divido la torta in dieci fette, poi non posso reclamare l'undicesima fetta perché non c'è».
È quello che ha detto Bagnasco?
«Sì, oggi siamo in questa situazione. Inutile girarci intorno: il capitalismo selvaggio è convinto che le fette siano undici, dodici, tredici, ma non può essere così. Esistono dei limiti, soprattutto la torta va rivista nel suo insieme. Quando Wojtyla tuonava contro il capitalismo selvaggio si riferiva proprio a questo. Dobbiamo pesare le risorse, i bisogni, gli equilibri e gli squilibri, le aspettative. Se si tiene conto della complessità dell'uomo, allora l'economia mondiale supererà la crisi».
D'accordo, ma in concreto?
«Gliel'ho detto: dobbiamo considerare tutti i fattori in gioco, non solo il profitto. È un discorso generale e individuale. È un tema che si capisce meglio se si introduce il concetto di responsabilità. Ecco, siamo responsabili di quel che facciamo: di come gestiamo le aziende, di come impieghiamo le risorse, di come lavoriamo, dell'onestà e della lealtà che a tutti i livelli mettiamo nelle nostre azioni».
Come cittadini, ci ricorda Bagnasco, dobbiamo pagare le tasse.
«Certo. Molti invece, per il discorso che facevamo prima, si chiamano fuori e più o meno se la cavano così: Io guadagno poco e quindi non devo dare niente allo Stato, io sono artefice delle mie fortune e quindi me le tengo per me. Mi spiace, ma non è così: chi ha poco dia in proporzione, ma non può pensare di sganciarsi; così chi ha molto deve dare, naturalmente sempre secondo un criterio di ragionevolezza. E qui, se mi permette, vorrei fare un piccolo esempio personale».
Prego.
«Io ho ottant'anni, non insegno più all'università, ma scrivo libri, faccio conferenze, vado sempre in giro. Bene, il 61 per cento dei miei guadagni finisce nelle casse dello Stato. Questo mi sembra troppo e lo dico pacatamente senza voler innescare polemiche. Ho la mia pensione, sto bene, non mi lamento, devo imparare anch'io a vivere in linea con le risorse a disposizione. Però...».
Però?
«Però ancora una volta ha ragione il presidente della Conferenza episcopale italiana quando invita i politici a mettere fuori la testa dal guscio, a recuperare il rapporto con la gente, a farla finita con certi privilegi che scandalizzano l'opinione pubblica. Come vede, siamo sempre allo stesso punto: la finanza non basta alla finanza, l'economia non basta all'economia, la politica non basta alla politica».
Non esiste leconomia cattiva?
«No, esistono gli uomini. E gli uomini agiscono: fanno bene oppure sbagliano. Ricreiamo gli uomini e avremo sorprese positive anche per quel che riguarda il listino delle Borse e il pil mondiale».
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