Il 2015 sarà nel segno del superdollaro. Il biglietto verde è arrivato ai massimi degli ultimi dieci anni contro le valute «rivali»: venerdì valeva 120,4 yen, 1,001 franchi svizzeri e 0,652 sterline. Specularmente, l'euro è sceso a 1,202 dollari, il livello più basso dal giugno 2010, dopo essersi svalutato del 12% nel corso del 2014. Secondo gli analisti la discesa della moneta unica proseguirà per tutto l'anno, con attese ribassiste che si spingono fino a 1,10 dollari a dicembre previsti da Bank of New York Mellon: sarebbe il livello più basso dal 2003. Per Bnp la discesa si fermerà a 1,15 dollari, Rabobank vede l'euro a 1,20 dollari a fine anno, mentre Société Générale si spinge fino a 1,14 dollari.
Il rally del dollaro nasce dalle notevoli differenze nell'andamento dell'economia americana ed europea. La forte accelerazione registrata nel terzo trimestre dal Pil Usa (+5%, la più ampia degli ultimi undici anni) ha contribuito a consolidare l'idea tra gli analisti che la Fed, guidata da Janet Yellen, aumenterà, entro fine 2015, il tasso di riferimento fra l'1 e l'1,25%: il primo ritocco è previsto già a giugno. Gli investitori, quindi, accumulano dollari anticipando un aumento dei tassi di interesse da parte della banca centrale americana.
L'Eurozona, al contrario, fatica a risollevarsi dalla crisi e la deflazione incombe. Tanto che il «quantitative easing», l'acquisto di titoli di Stato da parte della Bce per favorire la ripresa, è ritenuto come lo scenario più probabile, dopo le recenti dichiarazioni del presidente Mario Draghi. Che, non a caso, hanno provocato un immediato deprezzamento dell'euro.
A sedici anni dalla sua nascita, dunque, la moneta unica si prepara all'ennesimo capovolgimento nei confronti del dollaro. Dopo l'esordio a 1,179, infatti, il cambio si è adattato ai reali rapporti tra le due economie e ha iniziato a calare, fino al minimo storico - 0,825 -di ottobre 2000. Poi il pareggio nel 2002, e il crollo del dollaro dopo il fallimento di Lehman Brothers: così nel luglio 2008, l'euro ha segnato il record, a 1,599 dollari. La «guerra delle valute» successiva ha contribuito a mantenere l'euro forte, il che non rappresenta necessariamente un vantaggio. Secondo Morgan Stanley un apprezzamento del 10% dell'euro comporta una riduzione della ricchezza europea di mezzo punto percentuale: per l'Italia questo significa 8 miliardi di euro, perchè il made in Italy, dalla moda all'alimentare d'alta gamma, vive soprattutto di esportazioni.
Nel tessile, per fare un esempio, il 2008, anno di Supereuro, ha visto un calo dell'8% dell'export, con una flessione del 4,6% dei fatturati. Al contrario, il rafforzamento del biglietto verde gioca a favore delle nostre aziende esportatrici: il rovescio della medaglia è l'aumento dei prezzi di tutto ciò che è quotato in dollari, a cominciare dal petrolio.
Ma le quotazioni dell'oro nero stanno crollando - il prezzo si è ridotto di un terzo solo nell'ultimo mese - e gli analisti non prevedono cambiamenti a breve termine.
Lo choc petrolifero potrebbe però fungere da detonatore per fare ripartire l'Eurozona. Una bolletta energetica più leggera avrebbe infatti effetti positivi sulla liquidità a disposizione della famiglie per i consumi e delle imprese per gli investimenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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