Economia

Alitalia, 20 anni di piani e di previsioni sbagliate Nel 2021 sarà diverso?

Dalle promesse di Cimoli del 2005, ai capitani coraggiosi nel 2009, al flop di Etihad del 2014

Alitalia, 20 anni di piani e di previsioni sbagliate Nel 2021 sarà diverso?

«Ops. Ci eravamo sbagliati». Nessun manager lo ha mai confessato esplicitamente, ma parlano i fatti: i piani industriali di Alitalia sono tutti falliti e nessuna previsione si è avverata. Almeno negli ultimi 20 anni, tutti in rosso e tutti costellati di buone intenzioni: speriamo che il piano presentato nel dicembre 2020 e ora in corso di approvazione abbia maggior fortuna.

Sfogliare gli archivi fa impressione: stesse ricette, stesso ottimismo, stessi fiaschi. Alitalia è sempre stata una voragine senza fondo, da pubblica e da privata, con soci commerciali e con soci industriali; sempre alla ricerca di azionisti forti che, quando sono arrivati (Etihad) si sono rivelati una delusione.

Nel 2002 Alitalia e Air France, immaginando un futuro comune, si scambiarono, alla pari, il 2% del capitale: qualche anno dopo la quota francese era diventata carta straccia, quella di proprietà italiana fu venduta con importanti plusvalenze.

Il piano industriale varato nel 2017, che sembra l'altro ieri, teoricamente doveva (dovrebbe) essere ancora in vigore: perchè disegnava l'arco di cinque anni, fino al 2021; l'ad era Cramer Ball. Prevedeva il ritorno all'utile per il 2019, ritenuto «realistico e fattibile». Questi i progetti: riduzione dei costi per un miliardo entro la fine del 2019, aumento dei ricavi del 30% (facile a dirsi...), flotta ridotta, rivisitazione del modello di business, incremento della produttività eccetera, eccetera: quante volte abbiamo sentito le stesse cose?

Poco prima, nel 2014, era stato lanciato il nuovo corso insieme a Etihad (49%), con Luca di Montezemolo e Silvano Cassano alla guida: nel piano industriale 2015-2017 l'obiettivo era di raggiungere l'utile nel 2017, ma già verso la fine del primo anno fu annunciata una «revisione dei target». Le previsioni poi si spinsero in un futuro talmente lontano da essere un'incognita anche oggi per noi: per il 2023 veniva indicato un fatturato di 4,5 miliardi, con un utile di 212 milioni.

Anche il capo dei Capitani coraggiosi, Roberto Colaninno, deve aver pronunciato, tra sè e sè, il proprio «ops»: nel 2013 dopo 4 anni dall'aver acquisito la maggioranza della compagnia ammise che Alitalia «perderà soldi anche quest'anno» ma si lanciò in affermazioni ardite: «Il piano che presentiamo oggi è così logico e semplice che è impossibile non seguirlo: ci porterà al turnaround, all'equilibrio economico e finanziario dei conti nel 2014»: il piano prevedeva ebit industriale positivo nel secondo semestre del 2013, sostanziale pareggio del margine operativo nel 2014, pareggio di bilancio nel 2015 e utile nel 2016. Tutto mancato.

Un salto indietro e troviamo auspici analoghi anche nell'Alitalia pubblica, che nel 2001 approva il suo piano industriale, ante va detto Torri gemelle: 8mila miliardi di lire di investimenti in quattro anni, 3mila assunzioni, «nuovo assetto commerciale, industriale e organizzativo»: parole sempre facili da pronunciare. Obiettivo: leggero utile nel 2001, sviluppo dal 2002. L'ottica, dopo gli attentati, si sposta sulla gestione dell'emergenza. Nel 2004 la perdita è di 812 milioni, le prospettive sono pessime.

Giancarlo Cimoli nel 2005 prometteva giulivo: «Il ritorno all'utile nel 2006 non è un auspicio ma un trend»; l'azionista pubblico gli aveva appena versato un miliardo di capitale da spendere in flotta; sulla quale peraltro Cimoli si apprestava ad accendere ipoteche per restituire un prestito ponte da 400 milioni. Eppure le cose non andranno proprio come previsto, perché a settembre si scoprirà che il primo semestre del 2006 si è chiuso con perdite superiori a quelle dell'intero 2005. Viene varato un altro piano fino al 2008, che prevede nuovo «posizionamento strategico, quello del network carrier altamente efficiente». Per il 2007, a risanamento compiuto, è indicato il raggiungimento dell'utile, e per il 2008 l'ebit è previsto al 5%. Tutto fiato sprecato.

Gli archivi traboccano di materiale sulle promesse mancate di Alitalia - queste righe rendono solo un'idea - e fanno capire che scrivere un piano industriale, così come prevedere un utile, è un puro esercizio teorico, mentre quel che conta è realizzarlo.

La buona fede di manager e consulenti è fuori discussione, ma indicare futuri risultati ottimistici è facile e rende sempre felice l'azionista.

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