Alitalia, perché il piano non basta più

A marzo cassa finita. Soci italiani in tensione, si prova a evitare il commissario

Alitalia, perché il piano non basta più

Alla fine di marzo sarà bruciata la cassa residua, quindi per Alitalia è necessario fare presto. La situazione è fluida, con i soci italiani le banche innanzitutto sempre più esasperati e poco convinti del piano industriale elaborato dall'ad Cramer Ball, che a breve sarà «orfano» del dimissionario James Hogan, l'uomo forte dell'alleanza con Etihad. Per questo non sono state ancora indette riunioni ufficiali. Un cda sembrava dovesse tenersi ieri, ma nemmeno nei prossimi giorni c'è ancora nulla di convocato: l'azienda dovrà vedere i soci (cui si aggiungerà l'obbligazionista Generali), il governo, i sindacati.

La fine del mese scade oggi, e si andrà ai tempi supplementari. La situazione è confusa e aleggia lo spettro di un'amministrazione straordinaria, come nel 2008. Infatti per rilanciare la compagnia ammesso che la ricetta ci sia occorre almeno un miliardo, e gli azionisti di Cai, che possiedono il 51%, sono restii a continuare a elargire denaro a fondo perduto. Due mesi fa, in dicembre, le banche avevano riaperto i rubinetti del credito per 180 milioni. Ma quel denaro sta per finire: la compagnia perde oltre 1,5 milioni al giorno (circa 500 la stima del rosso 2016), e perdipiù il primo trimestre nel trasporto aereo è la stagionalità peggiore.

Il piano messo a punto da Ball, in sintesi, prevede risparmi (prima dei tagli al costo del lavoro) di 160 milioni nel 2017 e a regime di 200-250, sempre al disotto delle perdite operative; una riduzione della flotta e dei costi sul breve-medio raggio, e un incremento sul lungo. Ma tutto ciò evidenzia incognite e contraddizioni.

Storico difetto di Alitalia è di essere troppo grande per essere una compagnia piccola, e troppo piccola per essere grande. Le dimensioni di oggi sono tuttora antieconomiche e occorrerebbe un drastico ridimensionamento per recuperare l'equilibrio economico. Secondo l'economista dei trasporti Andrea Giuricin, dai 22 milioni di passeggeri del 2016, la compagnia dovrebbe riposizionarsi su un modello da 12-14 milioni, riducendo la flotta di oltre 20 aerei (sugli attuali 121); a quel punto la mannaia cadrebbe sul personale, almeno 2mila tagli sui 12.500 dipendenti (ma c'è anche chi ne ha stimati 4mila).

Dovrebbero essere parte integrante del piano anche gli sviluppi sulle linee del Nord Atlantico, ma qui l'incognita è totale. Alitalia vorrebbe rendersi autonoma dalla joint venture con Delta, Air France e Klm per raccogliere da sola la domanda nei collegamenti con Stati Uniti, Messico e Canada che è stimata del 10% superiore all'offerta. Non è però chiaro se svincolarsi sia possibile, anche pagando la stratosferica penale di 250 milioni. C'è poi la necessità di Alitalia di continuare a vendere i biglietti attraverso le reti degli alleati, che da un lato verrebbero scaricati e dall'altro tenuti. Ma Alitalia ha la forza per pretendere tutto ciò? La sta cercando su un altro tavolo, sul quale sta negoziando con Air France i code sharing tra Italia e Francia, e gli slot a Linate.

Gli accordi sono già scaduti e prorogati a marzo; l'obbiettivo sarebbe favorire l'alleato in Italia, per ottenere vincoli più leggeri sull'Atlantico. Il piano su questi punti è lacunoso, e questo aggiunge perplessità. Valorizzare poi il lungo raggio, non è un'operazione subito in utile, anzi: per portare a regime un collegamento occorrono almeno due anni.

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