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Alitalia sull'orlo dell'ennesimo crac

Cassa esaurita, azionisti divisi, banche alla finestra. Tensione tra Etihad e Hogan

Alitalia sull'orlo dell'ennesimo crac

Alitalia è in condizioni drammatiche, ma il cda tuttora non riesce a trovare soluzioni percorribili. Anche ieri un incontro con i sindacati è saltato, rinviato a oggi, mentre il consiglio riunitosi in serata lavorava faticosamente a un'intesa. Le confederazioni e la Ugl hanno espresso la massima preoccupazione. Ormai si parla di casse vuote e del rischio di libri in tribunale. Forse a questo epilogo non si arriverà, ma certamente la situazione non solo è grave, ma è aggravata da condizioni di contorno non da poco.

James Hogan, numero uno di Etihad (socia al 49%) e vicepresidente di Alitalia, è fortemente indebolito nei confronti del proprio azionista arabo, e prossimo pare - a essere sfiduciato. L'ultima goccia è il fatto che la stessa Etihad dovrà licenziare circa 1.500 persone. Il disegno espansionistico di Hogan, nel quale rientra Alitalia, è fallito: le partecipazioni di minoranza in compagnie europee non hanno dato frutti, e soprattutto dalla Germania sono venuti i maggiori dolori, con il fiasco di Air Berlin, smembrata e, per quanto possibile, riposizionata. Etihad doveva essere il cavaliere bianco che risanava Alitalia, oggi è un azionista che non ha mantenuto le promesse. Così ad Abu Dhabi si sta pensando a come uscirne: e una possibilità viene proprio dalla Germania, poiché Hogan penserebbe di vendere, non importa se in perdita, la quota in Alitalia alla Lufthansa, che essendo vettore comunitario non avrebbe vincoli di sorta.

Invece Etihad non può superare il 49% (pena la perdita dei diritti Ue di volo) e su questo presupposto si innesta l'ingegneria finanziaria sulla quale i soci si stanno misurando. Un aumento di capitale deve trovare simmetria nei soci italiani (principalmente le banche) che però non intendono rischiare altro denaro. Unicredit, primo azionista col 32% di Cai (che possiede il 51% di Alitalia) è ferma nel suo diniego, anche perché rischiare nuovo denaro, alla vigilia di una propria ricapitalizzazione, non sarebbe presentabile al mercato. Luca di Montezemolo, presidente di Alitalia e vicepresidente di Unicredit, in questi giorni si è molto adoperato per trovare un compromesso. Intesa Sanpaolo (secondo azionista di Cai, 31%), appare forse più consapevole della gravità della situazione e mostra di non volersi tirare indietro.

La via sono le linee di credito, non il capitale. Un altro dei soci di Cai, va ricordato, è Mps (3,14%) ed è impensabile, viste le sue condizioni, che possa impegnarsi sul fronte Alitalia. Il fabbisogno complessivo dovrebbe ammontare a circa 600 milioni di euro. Della partita anche Generali, il cui ruolo è particolarmente delicato: titolari di un prestito obbligazionario da 300 milioni, sono pressate per entrare nella compagine azionaria. Sul tavolo delle trattative (il cda è formalmente in corso da lunedì 12, un escamotage che riporta ai tempi di Enimont) le questioni di vil denaro si legano a quelle di governance: Etihad non è stata capace di risanare la compagnia, nonostante i tappeti rossi stesi dal governo nel 2014. Per il 2017, anziché il pareggio promesso, si stima una perdita di altri 500 milioni.

Così gli azionisti italiani intendono rivendicare il loro ruolo di maggioranza e riprendere in mano strategie e decisioni importanti, a cominciare dal piano industriale. Quest'ultimo prevede più lungo raggio e meno breve e medio: potrebbe forse essere la ricetta giusta, ma innanzitutto è essenziale avere i soldi per il carburante.

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