Allarme Fmi sui crediti Ue «In Italia bad bank difficile»

Possibile recuperare 600 miliardi se si scioglie il nodo delle sofferenze. Preoccupano i troppi debiti dei Paesi emergenti. Dai fondi comuni possibile choc al mercato dei bond

«La stabilità finanziaria globale non è ancora garantita e rischi al ribasso prevalgono». All'indomani del taglio alle stime sulla crescita globale, il consigliere finanziario del Fondo monetario internazionale, Josè Vinals, mette a fuoco le principali criticità che rischiano di ostacolare una ripresa sostenibile durante la presentazione del Global Financial Stability Report. Se la frenata della Cina resta un elemento di preoccupazione, così come le titubanze della Fed in materia di tassi (di qui l'invito a Janet Yellen a «una comunicazione chiara e coerente»), sono almeno altre tre le macro-aree dove lampeggiano i segnali di allarme.

La prima ha i confini dell'eurozona e i connotati dei crediti in sofferenza, quantificati dal Fmi in circa 1.000 miliardi, di cui 200 in Italia. Un freno enorme all'erogazione di nuovi prestiti, se solo si pensa che la risoluzione del problema degli incagli avrebbe il potere di liberare 600 miliardi. La soluzione più naturale sarebbe la cessione dei non performing loans, ma secondo il Fondo un nodo ancora da sciogliere resta quello del prezzo, ovvero lo “spread“ fra quanto sono i crediti di difficile riscossione sono iscritti a bilancio e quanto gli investitori sono disposti a pagarli. L'alternativa è la costituzione di una bad bank, una sorta di “aspirapolvere“ «difficile da attuare in Italia», spiega Vinals, con probabile riferimento alla disciplina Ue sugli aiuti di Stato. Una spada di Damocle che il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, punta a rimuovere attraverso una rimodulazione complessiva del sistema bancario che comprende la già attuata riforma delle banche popolari e l'autoriforma della Fondazioni. Per il Fondo, comunque, un contributo alla riduzione delle sofferenze potrà derivare dal miglioramento dell'economia tricolore, accreditata di un +0,8% quest'anno, anche se l'avanzo strutturale di bilancio è stato posticipato dal 2016 al 2018, quando sarà pari allo 0,1% del Pil. Nel 2017 si avrà comunque il primo pareggio.

Gli altri due punti critici riguardano i 3.000 miliardi di dollari di prestiti in eccesso nei Paesi emergenti e i 1.500 miliardi di leverage attraverso derivati dei fondi obbligazionari Usa e Ue. Nel primo caso, l'eccessiva esposizione ha reso le aziende e i mercati emergenti più suscettibili a frenate dell'economia, a fughe di capitali e a un deterioramento della qualità del credito; nel secondo, evidenzia Vinals, c'è il rischio di un'accelerazione delle perdite da posizioni sui derivati che possono amplificare gli choc alla stabilità finanziaria. Negli Usa, dove questi fondi sono un driver primario nell'intercettare i bond aziendali, sarebbe una catastrofe. Da notare che solo in agosto gli hedge fund hanno perso 78 miliardi, il calo maggiore da ottobre 2008, il mese successivo al collasso di Lehman.

Meno preoccupato è invece l'outlook di Lazard, che prefigura

un aumento dei tassi Usa entro fine anno che non dovrebbe danneggiare Wall Street, che storicamente si è sempre mossa al rialzo dopo una stretta. Una crescita del 2% nell'eurozona continuerà a sostenere le Borse dell'area.

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