Apple, vittoria di Pirro su Samsung

Briciole. Forse buone per saldare le parcelle dell'esercito di avvocati schierato sotto il vessillo della Mela morsicata. Nell'interminabile guerra contro i rivali di Samsung, Apple ha vinto ieri l'ultima battaglia nelle aule dei tribunali. Ma è una vittoria di Pirro: lo è sotto il profilo economico, visto che la giuria di San Josè, California, pur stabilendo che i sudcoreani hanno copiato dai rivali quattro brevetti, ha riconosciuto alla creatura di Steve Jobs un risarcimento di «appena» 119,62 milioni di dollari contro i 2,2 miliardi richiesti. Ma, al tempo stesso, il giudice ha anche stabilito che nel creare i suoi iPhone 4 e iPhone 5, il colosso di Cupertino ha usato illegalmente uno dei brevetti della compagnia asiatica. Così, Apple dovrà rendere a Samsung 158.400 dollari.
È ormai dal 2011 che i due principali competitor nel mercato degli smartphone stanno ingaggiando un braccio di ferro legale quasi in ogni angolo del globo. Finora, lo scontro si è consumato senza un vincitore. Se si eccettua l'indennizzo di quasi un miliardo di dollari strappato nel 2012 dagli inventori del Mac, i giudici hanno sempre usato la mano leggera. Forse anche per l'oggettiva difficoltà nel valutare tanto la violazione di una proprietà intellettuale, quanto il vantaggio economico ricavato dal colpevole del reato. Nell'ultimo caso, le pretese di Apple devono essere parse decisamente eccessive, nonostante una delle patent rubate riguardasse il popolare slide to unlock, la funzione che permette di risvegliare il cellulare “dormiente“.
Se le cause aperte non hanno finora comportato significativi esborsi, nè tantomeno la rimozione dal mercato dei prodotti incriminati, c'è da chiedersi per quale motivo i due gruppi non abbiamo smesso di incrociare le spade in tribunale. Una disputa perfino paradossale, alla luce dei rapporti industriali tra Apple e Samsung risalenti al 2005, e che resistono ancora oggi attraverso la fornitura dei microprocessori sudcoreani montati sugli Iphone. La prima risposta è ovvia: con le cause, si prova a indebolire il principale avversario sul mercato degli smartphone, il cui valore è pari a 330 miliardi di dollari, e dove il gigante orientale è leader con una quota del 31% mentre gli americani sono scivolati, in soli tre anni, dal 27 al 15%. Poi, c'è anche il tentativo di affermare un principio di primazia tecnologica: «L'idea è mia, io so innovare, gli altri copiano». Di fatto, questa disputa estenuante rischia di ostacolare la concorrenza e ripercuotersi sui prezzi dei prodotti, destinati ad aumentare a causa delle royalties.
L'obiettivo finale di Cupertino potrebbe tuttavia essere un altro: ovvero Google, il colosso che realizza il software Android, il sistema operativo non solo dei Galaxy Samsung. Il robottino verde era il nemico giurato di Jobs. Che al suo biografo, Walter Isaacson, non esitò a confidare: «Distruggerò Android, perché è un prodotto rubato. Innescherò una guerra termonucleare». Per ora, dalle applicazioni di default dei melafonini sono già sparite Mappe e YouTube, due killer application di Mountain View. Tim Cook, attuale ceo di Apple, passa però per uno che non ama lo scontro. Un prudente.

A maggior ragione se di mezzo c'è l'americanissima big G e non una conglomerata asiatica. Come dargli torto: se in tribunale è già difficile attribuire la paternità di un angolo smussato, cosa può accadere quando in ballo c'è l'accusa di aver clonato il cuore degli smartphone?

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