Argentina di nuovo nel caos Fitch taglia il rating di 5 punti

L'agenzia riduce il giudizio da "B" a "CC": si teme il default per la sentenza che impone di pagare 1,3 miliardi di dollari per il crac dei Tango Bond

La "presidenta" Cristina Fernandez de Kirchner
La "presidenta" Cristina Fernandez de Kirchner

L'agenzia di rating Fitch ha retrocesso di cinque gradini la posizione dell'Argentina, da «B» a «CC», e ha giudicato «probabile» un default sui pagamenti del Paese, che è stato appena condannato a versare 1,33 miliardi di dollari ad alcuni fondi speculativi detentori del suo debito. Per Fitch l'outlook resta «negativo» tanto da non escludere un'ulteriore retrocessione nei prossimi mesi. L'agenzia Usa ha effettuato il downgrading nel contesto della controversia legale tra Buenos Aires e gli obbligazionisti argentini che non hanno accettato la moratoria di ristrutturazione del debito. La decisione di Fitch è stata presa nella previsione che lo Stato possa decidere una sospensione dei pagamenti.
La scorsa settimana, il giudice Thomas Griesa ha emesso una sentenza che ha ordinato all'Argentina di pagare a dicembre 1.330 milioni di dollari per gli obbligazionisti che non hanno accettato la conversione del debito. Il governo argentino ha chiesto alla Corte d'Appello di New York il trattamento di emergenza per sospendere l'ordine del giudice. I querelanti sono investitori e fondi di investimento, tra cui Nml e Aurelio, che avevano acquistato bond argentini e hanno respinto la ristrutturazione proposta nel 2005 e nel 2010 per applicare una riduzione di circa il 65% del debito, e che è stato accettata dal 92% dei creditori.
«Pagheremo puntualmente come sempre e con risorse proprie senza ricorrere al mercato dei capitali», ha minimizzato il presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner accusando la finanza globale di voler «castigare» il Paese sudamericano.
Per uscire dall'angolo dopo la pronuncia di condanna del tribunale di New York per i bond finiti in default nel 2001, è ipotizzabile il lancio di una nuova offerta pubblica di scambio da parte di Buenos Aires. È quanto ha sostenuto Nicola Stock, presidente della Tfa, l'associazione promossa dall'Abi che tutela gli oltre 53mila obbligazionisti italiani vittime di quel default che non hanno aderito alle precedenti Ops e che hanno avviato un arbitrato presso l'Icsid per ottenere il pagamento del capitale investito (1,3 miliardi di dollari) e degli interessi maturati e non pagati. L'arbitrato si dovrebbe concludere entro il 2013. Un'eventuale nuova Ops, aggiunge Stock «rappresenterebbe solo un tentativo di guadagnare tempo. I creditori che hanno vinto le proprie cause non parteciperanno alla riapertura di questa offerta».
L'Argentina attraversa un difficile momento economico, che la presidente Cristina Fernández de Kirchner ha cercato di gestire con politiche protezioniste, nazionalizzazioni ed espropri. Ma Kirchner non ha più l'appoggio del popolo. La protesta è sfociata nel maxi «cacerolazo», una manifestazione chiassosa, con centinaia di migliaia di argentini scesi in piazza a Buenos Aires l'8 novembre con rivendicazioni antigovernative molto diverse.

La crescita dell'insicurezza, l'inflazione nascosta dal governo (ufficialmente al di sotto del 10%, nei fatti intorno al 25%), le accuse di corruzione e di pressioni sul potere giudiziario erano tra le rivendicazioni più frequenti in un Paese di nuovo sull'orlo del baratro.

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