Economia

Auto, stretta sulle emissioni. Venti di guerra a Bruxelles

L'olandese Huitema: necessari limiti ancora più severi. Lancini (Lega): "Un'accelerata sarebbe insostenibile"

Auto, stretta sulle emissioni. Venti di guerra a Bruxelles

Non contento degli effetti negativi già tangibili nella filiera automotive, a Bruxelles c'è chi chiede un inasprimento dei limiti alle emissioni di CO2 rispetto al piano «Fit for 55» che dovrebbe portare a una mobilità solo elettrica dal 2035. È l'eurodeputato olandese dei macriniani di Renew Europe, Jan Huitema, che il 28 febbraio vedrà il via alla discussione sulla sua proposta in commissione Ambiente. Di fatto, Huitema mira a imporre la riduzione delle emissioni di CO2, da qui al 2035, attraverso tappe intermedie ancora più «ambiziose»: entro il 2025, -25% per le auto e -20% per i furgoni (rispetto a -15% per entrambi); entro il 2027 - una nuova tappa intermedia - ulteriore riduzione del 45% (auto) e del 40% (furgoni); entro il 2030, -75% e -70% (da -55% e -50% della Commissione) fino al -100% del 2035.

Tutto facile a parole, «ma - puntualizza una fonte industriale - irraggiungibile e non necessario». Che aggiunge: «Esistono alternative per conseguire gli obiettivi della Ue senza mettere ancora più a rischio, per non dire portare al fallimento, intere filiere e costringere il settore petrolifero a non investire più sui carburanti green. Quello, in pratica, che sta accadendo al gas con tutte le pesanti ricadute sulle bollette energetiche».

Alla presentazione del testo di Huitema in commissione Ambiente seguirà il dibattito, quindi il voto intorno a maggio. Poi la Plenaria a Strasburgo, con la posizione del Parlamento Ue, prima della pausa estiva. Ma tutto potrebbe anche protrarsi nei mesi successivi. Nel frattempo, a Bruxelles qualcuno ha già storto il naso, come il vicepresidente della commissione Trasporti, il tedesco Jens Gieseke.

E l'Italia? Il governo solo ora sembra voler occuparsi, in concreto, del tema transizione-occupazione dopo gli allarmi lanciati dalle associazioni della filiera e dai sindacati che hanno stretto un'alleanza con Federmeccanica e chiesto un incontro urgente al premier Mario Draghi. Clepa (associazione dei componentisti automotive europei) nel suo ultimo studio sottolinea, in proposito, che l'Italia è il Paese con la minor capacità di ripresa e rischia di perdere, al 2040, circa 73mila posti di lavoro, di cui 67mila già nel periodo 2025-2030. «Tutte perdite - si legge - che le nuove professionalità legate allo sviluppo della mobilità elettrica non basteranno a compensare». Ecco perché il governo italiano, visto quanto sta accadendo a Bruxelles, dovrà aprire anche un fronte europeo. Da parte sua, il ministro allo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, nel riconoscere «il rischio di conseguenze sociali e occupazionali indesiderate e potenzialmente gravi, se non saremo in grado di ascoltare gli input che ci vengono dall'industria», prende atto del reale pericolo Cina. «Facciamo attenzione - afferma - perché stiamo consegnando il futuro del settore auto a un soggetto che sta fuori dall'Europa». Domani, a Palazzo Chigi, Giorgetti incontrerà gli altri ministri coinvolti nel dossier.

A Bruxelles, intanto, alcune rappresentanze italiane cominciano ad affilare le armi, soprattutto nelle Commissioni Ambiente ed Energia. Nel primo caso, l'eurodeputato Oscar Lancini (Lega) afferma che «questa accelerazione ulteriore nella transizione diventa insostenibile da parte della nostra economia; l'obiettivo dell'elettrico è conclamato, ma il problema riguarda i tempi». «E poi c'è il nodo della rete elettrica - spiega Lancini - e della capacità di sopportare la domanda di energia che, per di più, l'Italia acquista dall'estero. La proposta di Huitema, che riduce ancora i tempi, porterebbe alla distruzione dell'indotto che fa motori endotermici. Siamo pronti a dare battaglia nel vero interesse dell'ambiente». E il collega Paolo Borchia (commissione Energia): «Quando si parla di limiti ambiziosi significa che devono essere raggiungibili e non per rivenderseli ai propri elettori.

Dietro la transizione c'è una montagna di sovvenzioni pubbliche e c'è già chi ci ha fatto un pensierino».

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