
La Banca centrale svizzera, un ente conservatore per eccellenza ma spesso anticonvenzionale nel suo operato, è diventata uno dei principali investitori tecnologici al mondo, strizzando l'occhio agli Stati Uniti. Negli ultimi anni ha investito oltre 42 miliardi di dollari in cinque società tech statunitensi (Amazon, Apple, Meta, Microsoft e Nvidia) diventando, di fatto, il principale investitore della Silicon Valley. Nello specifico, la sua partecipazione nel produttore di chip Nvidia supera 11 miliardi e quella in Apple vale, da sola, quasi 10 miliardi.
Nessun'altra banca centrale detiene una posizione azionaria così elevata. Ma le società tech non sono le uniche finite sotto la lente della Banca nazionale svizzera: questa detiene partecipazioni azionarie negli Stati Uniti per un valore di oltre 167 miliardi, distribuite su 2.300 diversi titoli L'interesse verso gli Stati Uniti e, nello specifico, della Silicon Valley, non dipende tanto dalla propulsione che quest'area sta offrendo al mondo delle nuove tecnologie, bensì è visto come uno strumento utile per gestire la valuta elvetica. Il franco svizzero in alcune situazioni viene considerato bene rifugio grazie alla stabilità politica ed economica del Paese. Durante le crisi, siano queste geopolitiche o finanziarie, non pochi investitori decidono di parcheggiare il loro denaro in Svizzera. Si tratta della valuta con le migliori performance degli ultimi 50, 20, 10 e 5 anni. Solo negli ultimi mesi, alla luce dell'incertezza che i dazi imposti dall'amministrazione Trump hanno portato sul mercato, si è già apprezzata di quasi il 15% rispetto al dollaro. Ma la forza del franco inizia a rappresentare una sfida persistente: da una parte rischia di causare una recessione deflazionistica, a cui la banca centrale elvetica sarebbe costretta a rispondere, dall'altra influisce sulla competitività delle esportazioni del Paese che già è soggetto a tariffe del 39% da parte degli Stati Uniti.
Per contrastare questo fenomeno, la banca vende regolarmente i franchi e acquista valute estere, principalmente dollari ed euro. Questi importi vengono poi investiti in obbligazioni e azioni all'estero, in una forma singolare di quantitative easing estero. Oggi circa l'87% del suo bilancio pari a 855 miliardi di dollari è composto da attività denominate in valuta estera, di cui il 25% in azioni.
Un modus operandi controcorrente rispetto alla classica condotta delle altre
banche centrali, che però lascia l'istituto in balia dei mercati. Ad esempio, nella prima metà dell'anno, per effetto di questa tecnica, la Banca centrale elvetica ha registrato un'altra perdita di 15,3 miliardi di franchi.