«Banche, adesso basta con i tagli»

«Banche, adesso basta con i tagli»

L'anno che sta per finire ha visto il rincorrersi dei piani di ristrutturazione con cui 13 banche italiane hanno tagliato i costi del personale: ultime in ordine di tempo Bpm, Mps e Cariparma. La cura ha visto l'impiego di contratti di «solidarietà», una sorta di Cig, e un drastico ridimensionamento di bonus e integrativi. Chiediamo a Lando Maria Sileoni, leader della Fabi - il primo sindacato del settore con 100mila iscritti - come cambieranno le banche della Penisola dopo che anche le Bcc hanno deciso di calcolare i premi di risultato considerando i crediti in sofferenza lasciati da famiglie e imprese. «I sindacati - sottolinea Sileoni - hanno salvaguardato l'accesso volontario e incentivato al Fondo esuberi, rifiutando ogni ipotesi di prepensionamenti obbligatori. Il sistema bancario è un cantiere perenne; troppi i cambiamenti dei modelli distributivi che disorientano lavoratori e clientela, oltre a una classe dirigente che spesso non risponde alle esigenze di imprese e famiglie. Grazie alla nostra insistenza le banche hanno tagliato stipendi dei manager e consulenze esterne. Rimane ancora irrisolto il nodo delle sofferenze, scaricate sui piani industriali».
Alcuni studi sostengono che un terzo dei dipendenti sarebbe in esubero con il nuovo modello post-crisi...
«Molti analisti sono inattendibili o di parte: fare passare il messaggio che le Borse sostengono le banche solo quando producono migliaia di esuberi è inaccettabile. Tutto è legato alla voracità dei banchieri e dei loro contratti agganciati al buon esito dei piani industriali».
A gennaio riparte il confronto con l'Abi sull'accordo governativo di Produttività. Qual è la vostra posizione?
«Se l'Abi vuole una intesa deve confrontarsi su come riorganizzare la rete nei prossimi tre anni. Le banche possono ancora permettersi 320mila lavoratori e rendere operativo il Fondo per l'occupazione che garantirà nuove assunzioni».
Nei documenti del Comitato esecutivo, l'Abi ha però definito «insostenibile» l'attuale costo del lavoro, ha fatto riferimento ai licenziamenti collettivi e alla «rottamazione» degli over 55.
«Quella del costo del lavoro eccessivo rispetto alla media europea è una falsità, possiamo dimostrare che l'Abi inserisce nel computo anche gli alti stipendi dei top manager. Gli over 55 rappresentano una risorsa, siamo contro chi vuole alimentare una guerra generazionale tra chi dovrebbe entrare e chi dovrebbe uscire. In ogni piano industriale abbiamo infatti affiancato assunzioni ai pensionamenti volontari. I primi segnali di ripresa strutturale del sistema sono già stati presentati dalle banche italiane al Fmi. L'inversione di tendenza è nascosta dai banchieri, perché temono vengano spuntate le loro armi contro il sindacato».
La trattiva con Mps è conclusa, ma ha visto lo strappo della Fisac-Cgil. Cosa farete?
«Di fronte a una legge dello Stato sui licenziamenti collettivi e alla volontà di Mps di procedere anche da solo, abbiamo scelto di garantire ai lavoratori esternalizzati il contratto del credito e l'obbligo da parte di Mps di mantenere gli attuali livelli occupazionali, anche in presenza di un'eventuale crisi o di cessione a terzi della newco per il back office. Sarebbe stato folle lasciare mano libera all'azienda sulle esternalizzazioni attraverso il Codice civile. La Fabi non ha mai avuto rappresentanti nel cda né nella Fondazione Mps e quindi non ha responsabilità nella gestione. Due sbagli, di cui siamo estranei, sono stati far credere ai lavoratori che Mps fosse un'oasi felice e impedire 5 anni fa l'utilizzo del Fondo esuberi attraverso cui sarebbero stati possibili 5mila prepensionati».
Alcuni pensano che lei scenderà in politica, altri definiscono «corporativa» la sua gestione della Fabi. Come rilancerebbe il Paese?
«Io e l'attuale segreteria nazionale intendiamo ricandidarci per un prossimo mandato. Se per corporativo si intende che sono contrario alla penalizzazione della categoria e all'obbligo della concertazione al ribasso, allora sì, sono orgoglioso di essere corporativo.

Per rilanciare l'economia italiana servono tre riforme: una patrimoniale sui grandi capitali; una fiscale, per liberare risorse nelle fasce medio-basse di reddito e favorire i consumi, e una industriale che favorisca la fusione tra aziende così da renderle competitive in Europa. Avremmo così un rapporto più stretto tra banca e industria, di cui trarrebbe beneficio anche il credito».

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