«The world needs banking, not banks», diceva Bill Gates nel 1994. Tradotto: il mondo ha bisogno di servizi bancari, non delle banche.
Più che una profezia, suona come una minaccia per le big del credito quella lanciata ventiquattro anni fa dal fondatore di Microsoft. Tanto che è tornata a in mente a qualcuno dopo la scelta di Unicredit di tagliare i ponti con Facebook, che secondo l'ad, Jean Pierre Mustier, «non ha un comportamento etico». Una mossa decisa a marzo dopo lo scandalo di Cambridge Analytica ma che potrebbe essere anche il segnale che la guerra dei due mondi, quello dell'industria dei servizi finanziari e quello dei colossi come Google, Amazon e la stessa Facebook, è già cominciata.
Perchè fare accordi commerciali con il «nemico» che vuol mettere le mani sul vero tesoro nei caveau virtuali degli istituti, ovvero i dati dei clienti? Del resto, Mustier non è il primo a puntare il dito sulle corazzate di Internet. Il ceo di Barclays, Jes Staley, ha detto che le banche probabilmente hanno il «pool di dati più ricco» di tutti i settori, e che dovrebbero imparare a usarlo da sole per respingere le ambizioni della Silicon Valley. Francisco Gonzalez della spagnola Bbva ha avvertito che Facebook e Amazon negli Usa, Alibaba e Tencent in Cina, finiranno per «sostituire molte banche» esortando il Financial Stability Forum a «mettere ordine in questo cambiamento dirompente». Anche il responsabile delle relazioni istituzionali di Intesa Sanpaolo, Jacques Moscianese, ha sottolineato che Facebook come le banche sposta denaro e raccoglie informazioni private sui suoi clienti, quindi - come le banche - dovrebbe sottostare alla stessa regolamentazione. Ricordando anche che gli istituti di credito affidano al «cloud», la nuvola informatica, tutto ciò che sanno di noi. E i grandi depositi della nuvola li gestiscono Amazon, Google, Ibm e Microsoft.
«Le cosiddette big Tech rappresentano una grande minaccia per le banche per i loro vantaggi competitivi: usano piattaforme, come Amazon, che hanno informazioni in tempo reale su prodotti, vendite e soddisfazioni del cliente, ma anche dati personali, che consentono di valutare il loro rischio di credito, e a questo aggiungono anche una grande liquidità, ha tuonato a maggio il vicedirettore generale della Bankitalia, Fabio Panetta.
Il problema è che i banchieri europei hanno sì investito nelle Fintech ma nella sfida sono rallentati dagli sforzi che devono ancora dedicare alla pulizia dei bilanci e al rafforzamento patrimoniale. I panzer digitali intanto macinano terreno. A ottobre del 2017 Facebook ha acquistato in Irlanda una licenza bancaria per offrire ai suoi iscritti la possibilità di trasferire moneta elettronica nei vari Stati dell'Ue e aprire un conto per gli acquisti online. Nei giorni scorsi il Wall Street Journal ha poi scritto di colloqui tra il gruppo di Mark Zuckerberg con le principali banche americane allo scopo di condividere i dati finanziari e di conto corrente dei loro clienti che sono anche utenti dell'applicazione Messenger.
In realtà ci sono già relazioni «consensuali»: a Singapore, Citigroup offre un bot proprio su Messenger che consente, per esempio, di controllare il saldo del proprio conto corrente; una banca sudafricana ha recentemente introdotto una funzione che permette agli utenti di controllare il
proprio saldo di conto su WhatsApp, controllato da Facebook e da febbraio, in India, è possibile scambiarsi denaro tra privati proprio su WhatsApp con il supporto alle transazioni di alcune delle più importanti banche indiane.
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