Bce pronta per l'era Lagarde. Ma la strada resta a ostacoli

Christine dovrà mediare tra i "no" dei falchi tedeschi e la promessa del nuovo Qe. Il peso dei dazi di Trump

Bce pronta per l'era Lagarde. Ma la strada resta a ostacoli

Sull'agenda dei mercati due date sono sottolineate con l'evidenziatore rosso: la prima è il 30 ottobre prossimo, l'altra è il primo novembre. Due appuntamenti cruciali, uno quasi incollato all'altro, che riguardano la riunione della Federal Reserve, la penultima dell'anno, e l'insediamento di Christine Lagarde alla presidenza della Bce al posto di Mario Draghi. Cadono entrambi in un momento in cui l'economia globale, intirizzita dal moltiplicarsi dei dazi, non solo non dà segni di ripresa ma evidenzia un'accresciuta debolezza malgrado politiche monetarie lasche sempre più pervasive. Il che incoraggia tutta quella corrente di pensiero convinta che, se non proprio dannose, misure come l'azzeramento dei tassi e il quantitative easing non siano più una stampella capace di sostenere la ripresa. E che abbiano mancato il bersaglio di rianimare l'inflazione. Ma se organismi come il Fondo monetario internazionale incoraggiano i governi alla cooperazione proprio per non sovraccaricare di responsabilità i banchieri centrali, per immaginare una Bretton Woods 2.0 nell'era dei protezionismi occorre uno sforzo di fantasia quasi psichedelico.

E allora la palla ritorna nella solita metà campo. Soprattutto quella di Fed e Bce. Quest'ultima è per molti chiamata a virare dalla gestione accentratrice di Draghi verso una conduzione più collegiale, come ai tempi di Wim Duisenberg e di Jean-Claude Trichet. Non è una questione puramente stilistica. A partire dal «whatever it takes», Super Mario ha silenziato e scavalcato l'ala dura del board imponendo le sue scelte. L'indice di sgradimento nei suoi confronti è salito alle stelle. Fino al punto che la protesta non è più stata contenuta nelle solitamente insonorizzate stanze dell'Eurotower ed è tracimata fino ai giornali.

La Lagarde non ha il palmares economico dell'ex governatore di Bankitalia, ha trascorsi non proprio memorabili come ministro delle Finanze francesi, ma se c'è una cosa che Madame sa fare, forgiata negli anni di permanenza all'Fmi, è quella di muoversi in acque agitate.

All'Eurotower le troverà sicuramente. C'è tutto un fronte che spinge per abbattere il «sistema Draghi» e che l'aspetta al varco. È capeggiato dai tedeschi, ma di recente persino il numero uno della Banca d'Italia, Vincenzo Visco, ha cominciato a storcere il naso di fronte ai tassi negativi (ora a -0,5%). È però tutto da vedere se la Lagarde vorrà subito assecondare le richieste dei falchi comportandosi come il classico elefante in una cristalleria. E lo stesso vale in senso inverso: difficile ipotizzare a breve un aumento del Qe, al momento di 20 miliardi al mese, con incorporata la revisione del capital key (il meccanismo che ripartisce gli acquisti di titoli in modo proporzionale alla quota dei singoli Paesi nel capitale della Bce), magari per favorire le nazioni più in difficoltà come l'Italia. Manca del resto circa un anno al momento in cui la Bce non avrà più Bund da comprare. «Wait and see» potrebbe quindi essere il mantra lagardiano dei primi mesi. Poi, però, Christine dovrà mostrare da che parte sta.

Non potrà invece forse aspettare Jerome Powell. Il leader della Fed sente ancora sul collo il fiato di Donald Trump, ancora scontento nonostante il fresco varo di un Qe da 60 miliardi e il sostegno divenuto quasi strutturale delle operazioni repo. Per dare un boost alla crescita e presentarsi ai nastri di partenza delle presidenziali 2020 con un'economia in salute, il tycoon pretende l'azzeramento dei tassi.

Difficile che succeda entro fine anno (il costo del denaro è alll'1,75-2%), ma la prossima riunione potrebbe essere decisiva per capire se Eccles Building oppone ancora resistenza ai desiderata di The Donald, o se ha alzato bandiera bianca.

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