«La ripresa è debole e fragile, la disoccupazione inaccettabilmente alta e sarei molto, molto cauto nel dire che la crisi è finita». Eppur non si muove, Mario Draghi. Immobile come quei tassi rimasti inchiodati allo 0,25% ieri, primo appuntamento dell'anno per il board della Bce. A indurre l'Eurotower a metter mano all'arsenale di misure non convenzionali ci sarebbero, peraltro, i venti di deflazione che stanno sempre più allontanando i prezzi dal target del 2 per cento. Ma Francoforte continua a negare l'esistenza del fenomeno. Lo scivolamento dell'inflazione allo 0,8% in novembre è considerato un semplice inciampo statistico destinato a non ripetersi, in quanto causato da correzioni tecniche in Germania. Più complicato, invece, capire perchè in alcuni Paesi dell'area vi siano tassi negativi d'inflazione. Neppure Draghi lo sa con certezza: è deflazione, si è chiesto, o la diretta conseguenza degli aggiustamenti subìti da economie che avevano perso competitività? Nessun dubbio invece, da parte dell'ex governatore di Bankitalia, sul rischio di scivolare in una sindrome giapponese: «Non vediamo una deflazione in stile Giappone anni Novanta soprattutto perchè la Bce ha varato azioni decise sin all'inizio e poi perchè le banche dell'eurozona stanno meglio» di quelle nipponiche dell'epoca.
Tutto sembra insomma sotto controllo. Almeno nel medio termine, punto di riferimento temporale dell'istituto centrale. Solo un vero e proprio choc potrebbe far rompere gli indugi a Draghi, ovvero «un aumento non giustificato dei tassi di mercato a breve» e un ulteriore calo «delle prospettive di inflazione». La Bce è comunque pronta per una chiamata alle armi. I toni «più determinati» sulla forward guidance, cioè sull'intenzione di mantenere i tassi di interessi ai livelli attuali o più bassi, intendono confermare la «nostra volontà di agire se necessario, con ulteriori decisive misure», ha spiegato il numero uno dell'Eurotower. Rispetto a dichiarazioni recenti, Draghi si è tuttavia tenuto decisamente abbottonato su quali armi potrebbero essere dispiegate, a cominciare dall'acquisto di titoli in stile Federal Reserve. Carte coperte pure sull'eventuale lancio di una terza Ltro, questa volta finalizzata a rifornire di liquidità imprese e famiglie, e sull'ipotesi di portare in negativo i tassi sui depositi presso la Bce. «In questa fase non penso valga la pena speculare su quali strumenti potremmo usare», si è limitato a dire Draghi. Il cui riserbo sull'argomento potrebbe essere ricondotto all'arrivo nel direttivo di altri due falchi, dunque meno favorevoli a politiche espansive: Sabine Lautenschlager, vice del capo della Bundesbank, Jens Weidmann; e Ilmars Rimsevics, presidente della banca lettone.
Alla fine, Draghi si è soffermato su un altro tema caldo: in linea con i criteri di Basilea 3, «i titoli di Stato non saranno considerati asset a rischio» durante l'esame che la Bce effettuerà quest'anno su 130 banche europee. «Una seconda tornata di informazioni - ha aggiunto - dove diremo di più sull'asset quality review e sugli stress test per le banche, è prevista alla fine di gennaio».
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