Ora è ufficiale. L’euforia di molti analisti economici, generata dai generosi prestiti Bce alle banche europee, è finita. Sembrava che gli oltre mille miliardi di euro caduti a pioggia sul sistema bancario, grazie alle operazioni di rifinanziamento a lungo termine promosse dall’istituto di Francoforte, potessero essere la panacea di tutti i mali per le asfittiche economie europee. Così non è stato; concepiti ufficialmente per dare prezioso ossigeno all’economia reale rischiano ora di gettare i primi semi di una futura crisi del sistema finanziario ed economico europeo.
Nelle precedenti analisi si era rilevato come la Bce, a causa degli oggettivi limiti imposti alle sue funzioni dal trattato di Lisbona, stesse facendo troppo poco per scongiurare gli effetti distorsivi della crisi finanziaria sull’economia reale. In netta antitesi, la Banca centrale statunitense (Fed) aveva dimostrato, fin dal 2007, uno spiccato atteggiamento interventista attraverso l’adozione di una politica monetaria espansiva ( Quantitative easing, Qe) volta a ristabilire una liquidità adeguata nel sistema e scongiurare (o limitare) la possibilità di una recessione economica, assegnando priorità all’obiettivo della crescita rispetto a quello della stabilità dei prezzi.
La nomina di Mario Draghi alla presidenza della Bce nel novembre del 2011 ha segnato una netta inversione di rotta. Negli ultimi mesi la Banca centrale si è dimostrata molto più attiva che in passato; da una parte il costo del denaro è stato mantenuto particolarmente basso (tassi di interesse pari all’1%)e dall’altra sono state promosse due operazioni di prestito agevolato (anch’esso al tasso di interesse dell’ 1%) agli istituti di credito europei ( Long term rifinancing operation , Ltro) per un totale di oltre 1.000 miliardi di euro erogati a favore di 523 banche nel Ltro 1 (dicembre 2011) e di 800 banche nel Ltro 2 (febbraio 2012). Unica condizione richiesta alle banche per accedere a questi finanziamenti è stato il deposito di garanzie collaterali presso la Bce, cioè solitamente obbligazioni governative di qualunque genere (unica eccezione per la seconda asta i titoli di Stato greci).
Come detto, la decisione presa da Draghi di inondare il sistema creditizio di liquidità a basso costo era stata accolta con molto favore, si attendeva che questa enorme massa monetaria sfociasse quasi magicamente nell’economia reale, migliorando le condizioni creditizie per famiglie e imprese. Al contrario, le indagini condotte da Banca d’Italia evidenziano come, almeno con riferimento agli effetti del primo maxi-prestito di dicembre, nel nostro Paese siano inesorabilmente diminuiti i prestiti a famiglie e imprese e, contestualmente, siano cresciuti i tassi di interesse applicati. Per quanto riguarda le famiglie, i prestiti nel mese di febbraio rispetto a gennaio sono diminuiti del 2%, rispetto a dicembre 2011 del 3,7%. Discorso analogo anche per i tassi di interesse applicati. Il tasso annuo «effettivo globale» (Taeg) per il credito al consumo è giunto al 10,1% (dato relativo a febbraio 2012, nel febbraio 2011 era pari a 8,88%) e quello relativo ai mutui casa è risulta pari al 4,61% ( nel febbraio 2011 era pari al 3,3%). Il timore che i prossimi mesi possano svelare lo stesso risultato anche per il secondo prestito di febbraio 2012 èmolto forte.
Tralasciando il preponderante ricorso al deposit facility presso l’Eurosistema utilizzato da tutto il sistema bancario europeo (attualmente pari a circa 800 miliardi) dovuto soprattutto a motivazioni contabili di scarso interesse ai fini della discussione, dove sono finiti i consistenti fondi accumulati dalle banche? Le banche italiane come hanno utilizzato gli oltre 250 miliardi di euro (lordi) ricevuti?
Naturalmente la risposta non è univoca. Si possono però isolare almeno due tendenze preponderanti. La prima è relativa alla necessità degli stessi istituti di credito di rafforzare e consolidare i propri bilanci, conseguentemente anche alle formali «raccomandazioni» dell’Autorità bancaria europea (Eba). L’Eba,nel dicembre 2011,aveva stimato che, per resistere a shock particolarmente sfavorevoli, le banche italiane avrebbero avuto bisogno di una ricapitalizzazione pari a 15,4 miliardi di euro. Inoltre, è recente la notizia che i primi cinque istituti del nostro Paese hanno operato delle svalutazioni sugli avviamenti messi a bilancio in passato per circa 30 miliardi di euro. Probabilmente la liquidità ottenuta è servita a sistemare anche questo tipo di problematiche. La seconda tendenza, invece, va trovata nel deciso investimento in titoli di Stato operato in questi primi mesi dell’anno. I dati forniti dalla Bce evidenziano come gli investimenti in titoli di Stato da parte delle banche italiane siano esponenzialmente cresciuti negli ultimi mesi, successivamente quindi al primo maxi-prestito, passando da circa 4 miliardi investiti a dicembre 2011 a oltre 26 miliardi investiti a febbraio.
Proprio queste evidenze, soprattutto tra gli analisti anglosassoni, hanno scatenato le critiche sul sistema di Qe in «salsa europea»adottato da Draghi. I risultati che stanno emergendo sembrano creare le condizioni per una nuova stagione di tensioni. Quel che è evidente è che si è incentivata una intricata relazione nepotistica tra le banche (private)e gli stati (pubblici).Sul Financial Times , M. Chandler (stratega della Brown Brothers Harriman di New York) ha descritto sinteticamente il sistema con «deboli banche che acquistano deboli titoli di Stato». Sembra, mutuando il commento di B. James (esponente di Linklaters, importate studio legale internazionale), che si sia voluto legare due persone che stanno rischiando di affogare, sperando che insieme riescano a galleggiare. Le critiche non si fermano qui. L’ampia platea di banche che ha goduto dei prestiti Bce comporterà un ulteriore rallentamento del processo di consolidamento del sistema creditizio europeo, con il permanere sul mercato (almeno per altri 3 anni!) di quelle che vengono definite comunemente «zombie banks», e un contestuale rafforzamento del legame di dipendenza nei confronti della Bce. Un ulteriore rischio, seppur indiretto, è che gli stessi governi nazionali, tranquillizzati dal buon andamento delle aste di titoli pubblici, colgano l’occasione per procrastinare ancora una volta le riforme strutturali dello Stato.
Non è tutto, in seno alle banche italiane si sta consolidando un conflitto di interessi ancora ben celato.
I più importanti istituti di credito italiani hanno attinto a piene mani dal«bancomat»Bce a un tasso di interesse bassissimo, pari all’1%. Con questa liquidità, oltre ad altre operazioni di tornaconto sui propri bilanci, le banche hanno acquistato ingenti quantità di titoli di Stato italiani a rendimenti decisamente favorevoli, pari al 4-5,5%. Contestualmente le stesse banche operano, naturalmente, anche sul mercato secondario (proprio quello che determina lo spread) dove hanno tutti gli strumenti necessari per condizionare i rendimenti al rialzo. Infatti, come sappiamo, il mercato secondario influenza il prezzo e, conseguentemente, i rendimenti delle aste che avvengono sul primario, proprio dove acquistano i titoli tanto vantaggiosi. Senza considerare che i titoli acquistati sono gli stessi che poi vengono depositati come garanzie collaterali presso la Bce per ottenere nuovi finanziamenti a tassi agevolati... Sembra una spirale teoricamente infinita e non priva di rischi. L’unico dato certo è che l’economia reale non ha beneficiato in nessun modo della strategia adottata dalle Banca centrale.
Cittadini e imprese, che hanno sostanzialmente pagato la crisi finanziaria, sono ancora una volta spettatori inermi (e paganti) di questo scenario inquietante.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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