Bernanke tiene le Borse in ostaggio

Da anni, attraverso una politica sempre più aggressiva e sempre meno ortodossa finalizzata al rilancio dell'economia, la Federal Reserve ha avviluppato i mercati in un fortissimo rapporto di dipendenza. Per alcuni, è un po' come il legame tra spacciatore e tossicodipendente. Il timore, infatti, è che la droga della liquidità abbondante e a basso costo possa essere ridotta a breve, forse già in settembre. Le Borse stanno già fiutando il peggio, visti i ribassi accusati anche ieri, e perfino un appuntamento solitamente poco monitorato come la diffusione delle minute della Fed, prevista per oggi, sta creando un'attesa spasmodica paragonabile a quella per il Superbowl.
Dalla lettura del documento gli investitori sperano di ricavare una serie di indizi sulle intenzioni della banca centrale Usa, il cui board appare per buona parte spaccato tra i falchi, favorevoli a tagliare in modo deciso gli acquisti mensili di treasury e bond ipotecari pari a 85 miliardi di dollari, e chi preferisce muoversi con i piedi di piombo poichè non sono prevedibili i contraccolpi provocati dalla rimozione (seppur parziale) delle misure di quantitative easing. A complicare il quadro, il fatto che quest'anno la tradizionale riunione dei banchieri centrali a Jackson Hole (22-24 agosto) sarà priva del suo protagonista principale: Bernanke, che in passato ha usato il palco del Wyoming per aprire la strada a nuove politiche monetarie, non ci sarà. Così come non saranno presenti il presidente della Bce, Mario Draghi, e quello della Bank of England, Mark Carney.
Un summit in tono minore, dunque, che spiega il motivo per cui le «minutes» abbiano assunto tale importanza, in attesa della prossima riunione del 17-18 settembre prossimi. I timori di un rallentamento degli acquisti di asset da parte della Fed continuano intanto a frenare la corsa di Wall Street (il Dow Jones è finito ieri sotto i 15mila punti tornando ai livelli del 5 luglio) e hanno determinato la fine della luna di miele tra Piazza Affari e il rialzo. Dopo il -2,46% di lunedì, Milano è scivolata di un altro 1,41% con il Ftse Mib sotto quota 17mila. L'effetto spread, risalito a 247 punti, continua a penalizzare i bancari: in due sedute, i ribassi sono stati pari al 5,8% (-1,5% ieri). Ma il movimento ribassista ha coinvolto tutti i listini europei, mentre Wolfgang Schauble ha fatto risuonare un altro allarme sulla Grecia: Atene avrà bisogno di «un altro pacchetto di aiuti» nel 2014, ha rivelato il ministro tedesco delle Finanze.
Per il momento, però, a pagare il conto più salato della possibile exit strategy della banca centrale Usa sono i mercati emergenti. Dall'inizio dell'anno, gli investitori hanno già ritirato 8,4 miliardi di dollari da Asia e Sud America. Gran parte della liquidità immessa sul mercato da Bernanke è stata incanalata verso quei lidi. A fronte di tassi di crescita senza pari nel mondo occidentale, i mercati emergenti potevano infatti garantire anche alti rendimenti sugli investimenti. Ora, mentre l'America ritrova la crescita, dalla Cina all'India il ritmo di espansione si sta drasticamente riducendo. Così scatta la ritirata.

L'India è il paese che sta scontando le peggiori conseguenze, con il mercato azionario crollato di oltre il 7% in tre giorni e la rupia ai minimi sul dollaro (-17% da gennaio). Il rischio? La riproposizione in Estremo Oriente - dicono gli analisti - delle crisi valutarie e del credito degli anni 1990. Insomma: nulla di buono per l'Europa. Anzi, per il mondo intero.

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