Economia

La bomba bollette: quando finiranno i rincari?

Far negoziare a produttori e consumatori direttamente il prezzo dell'elettricità è una strategia che può frenare lo scoppio della bomba dei prezzi. Vera e propria Spada di Damocle per le imprese e le famiglie.

La bomba bollette: quando finiranno i rincari?

L'elettricità è il motore delle nostre società. Un motore fattosi sempre più affamato, giorno dopo giorno, mese dopo mese in questo complesso 2021. E i rincari delle tariffe al consumo del 55% decisi da Arera per il mercato italiano nella giornata del 30 dicembre è solo la punta dell'iceberg di una corsa vertiginosa dei prezzi che non pare destinata a frenare nel 2022.

Perché l'elettricità è in volo

Assindustria Veneto ha stimato che nel 2021 il prezzo di generazione dell’energia elettrica è mediamente quadruplicato rispetto a inizio anno (+411%) con punte anche maggiori in determinate condizioni e fasce orarie. Se per commodities come il gas naturale stimare prezzi di mercato e aumenti è più facile in termini generali, per l'elettricità ciò si scontra con i problemi legati al mix energetico utilizzato per generarla, ai picchi di domanda e offerta, alla stagionalità, agli orari.

Dunque, logicamente, la bomba dell'elettricità è la derivata prima dello tsunami dei prezzi energetici e la derivata seconda dell'accelerazione dell'inflazione e del parallelo processo di transizione energetica. L'accelerazione della ripresa economica ha generato picchi di domanda parallelamente a una ristrutturazione generalizzata delle economie avanzate e a un rilancio delle politiche di transizione legate però, nel breve periodo, alla stabilità di prezzi di combustibili fossili come il gas. La sommatoria tra picchi di domanda industriali e dei cittadini, modifica dei mix energetici, spinta sulle rinnovabili e incremento dei prezzi dei mercati al consumo dei permessi di inquinamento crea una pressione che risulta nella bomba dei prezzi dell'elettricità.

Per il sistema produttivo italiano nel complesso, questo si è tradotto in un aumento esponenziale degli esborsi per la fornitura di gas ed energia elettrica, passati da un valore di 8 miliardi di euro nel 2019 a una stima di 21 miliardi per le spese sostenute nel 2021 e che arriveranno a 37 miliardi nel 2022. Più dell'intera manovra economica del governo Draghi.

In particolare, è da cerchiare in rosso la data del 24 novembre scorso, entrata a suo modo nella storia dei mercati energetici italiani. Il prezzo medio all’ingrosso (Prezzo unico nazionale) delle forniture italiane di corrente fissato martedì 23 novembre alla borsa energetica del Gme , il Gestore dei mercati energetici, per le forniture del giorno mercoledì 24 novembre è stato pari 289,27 euro per mille chilowattora, cioè 28,9 centesimi al chilowattora, il record da quando questa misurazione esiste. Nelle stesse ore le forniture all’ingrosso di corrente arrivavano al prezzo mai visto di 385 euro per mille chilowattora, dieci volte il valore di dodici mesi prima. Un vero e proprio tsunami, a cui hanno fatto seguito una nuova corsa al rialzo sul primo dato, quello più strategico. Nelle prime due settimane di dicembre il Pun ha raggiunto il picco storico di 374 euro/MWh (+280% rispetto al valore di gennaio 2021; +650% rispetto a gennaio 2020).

I rischi del boom

Cosa può causare questa fase di acuta volatilità e graduali rincari del prezzo dell'elettricità, che sull'arco di più settimane si va gradualmente staiblizzando su "gradini" sempre più rialzati. Molto semplicemente, la fine della ripresa. Di fronte a uno tsunami energetico si rischia la sospensione temporanea dell’attività di molte aziende, soprattutto nei comparti maggiormente energivori ma anche nel campo di quelle di minore dimensione incapaci di gestire economie di scala sostenibili, per eccesso di costi e la consistente riduzione delle marginalità, erose gradualmente giorno dopo giorno dalla botta dell'elettricità. Leopoldo Destro, Presidente di Assindustria Venetocentro, ha dichiarato: "La ripresa economica mondiale che spinge la domanda di energia, la speculazione finanziaria, il quadro geopolitico con le forti tensioni con i Paesi fornitori di gas e l’eccesso di richiesta, le scelte sulla transizione energetica e il loro impatto, sono i motori di una corsa al rialzo dei prezzi che risulta pericolosa per la tenuta stessa del sistema".

Si tratta, ha detto il Corriere della Sera, "di una situazione che comporta per la manifattura italiana un drastico incremento dei costi per la fornitura di energia, che impatta principalmente sui settori ad alta intensità energetica: le industrie dell’acciaio, della carta, del cemento, della ceramica, della chimica, delle fonderie e del vetro e della calce sono nella concreta impossibilità di proseguire con le attività produttive. Una situazione paradossale con gli ordinativi ai massimi degli ultimi anni" e a pochi mesi dal pieno dispiegamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza con cui il governo Draghi vuole offrire un nuovo volano alla domanda aggregata e accrescere le prospettive dell'industria nazionale nel quadro della ripresa economica italiana.

E del resto, c'è la concreta possibilità che la bomba dell'energia freni la stessa procedura di messa a terra del Pnrr e della sua complessa strategia industriale.

In tutta Europa sotto Natale molti impianti si sono dovuti fermare. Nyrstar, uno dei maggiori produttori europei di zinco, ha fermato temporaneamente tre stabilimenti tra Francia, Olanda e Belgio in cui l'elettricità assorbiva ormai il 35% dei costi fissi. Smurfit Kappa, colosso europeo del packaging, prevede ulteriori rincari per motivi simili e ha rallentato gli ordinativi; nel Regno Unito Jonathan Reynolds, esponente del Partito Laburista, ha denunciato che la crisi dell'acciaio per le questioni energetiche può causare fino a 3 miliardi di sterline in danni all'economia britannica e bruciare oltre 5.500 posti di lavoro, invitando Boris Johnson a porre rimedio a questo problema.

Quale via d'uscita?

L'effetto-contagio in Italia può creare dinamiche simili. E per capirlo bisogna comprendere, in partenza, come funziona il mercato della "borsa elettrica" gestita da Gme. Ogni mattina prima delle 12 i produttori elettrici registrati presentano le proprie offerte per ciascuna ora del giorno successivo mettendole letteralmente all'asta. Esse vengono assegnate e distribuite con il criterio del prezzo marginale, quello più comune nelle borse di commodities e titoli pubblici di diversi Paesi. In questo modo vengono coperte a mano a mano offerte sempre più care finché non viene coperto il fabbisogno di corrente.

Come ricorda Il Sole 24 Ore, in questa dinamica rientra anche il gioco del mix energetico, dato che un mix rinnovabile generalmente permette più flessibilità e minori costi orari mentre " l’ora in cui il rapporto tra la domanda elettrica dei consumatori e l’offerta delle centrali è più teso è quella della transizione, quando il prezzo è dettato dalle costosissime centrali a gas chiamate ad accendersi con il tramonto". Per diverse aziende, in questo momento, sarebbe forse più utile il passaggio al controllo del pay-as-you-bid, ovvero sostituire la procedura diretta con l'incontro diretto di domanda e offerta a livello di accordi bilaterali. Una mossa che metterebbe al centro le esigenze pragmatiche di mercato e che offrirebbe la sponda all'attore pubblico per sterilizzare principalmente i costi per i cittadini e gli oneri dei produttori consentendo alla negoziazione verso prezzi più ridotti, e non nella corsa al rincaro dei prezzi orari, di permettere alle imprese di alleviare le bollette per le loro forniture.

Un meccanismo virtuoso che va considerato in questa fase emergenziale.

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