Economia

Boom di utili nei "paradisi". Mps seconda in Europa

Il 14% dei profitti del sistema viene da 17 rifugi fiscali. La replica di Siena: "Non calcolate le perdite"

Boom di utili nei "paradisi". Mps seconda in Europa

Tra le maggiori banche europee e i paradisi fiscali c'è una connessione d'oro che vale 20 miliardi l'anno di utili, ovvero il 14% dei profitti complessivi. Mentre la forza lavoro impiegata in questi Paesi non supera il quattro per cento. In pratica un dipendente bancario in questi eden rende in media 238mila euro all'anno rispetto ai 65mila registrati altrove. Lo scrive un report dell'Osservatorio fiscale europeo che analizza le attività delle 36 banche sistemiche del Vecchio Continente tra il 2014 e il 2020 e che considera rifugi fiscali i Paesi con una tassazione effettiva inferiore al 15% degli utili, compresi Irlanda, Malta e Lussemburgo oltre a Bahamas, Bermuda, British Virgin Islands, Cayman Islands, Guernsey, Gibilterra, Hong Kong, Isola di Man, Jersey, Kuwait, Macao, Mauritius, Panama e Qatar. Le banche utilizzano i rifugi fiscali a loro beneficio spostando i profitti nelle giurisdizioni a basso impatto fiscale per ridurre la tassazione commenta l'Osservatorio. Intesa Sanpaolo, Unicredit e Mps non fanno eccezione. Addirittura, Rocca Salimbeni, controllata del Tesoro (al 64% del capitale), tra il 2018 e il 2020 avrebbe contabilizzato il 49,8% medio degli utili prestasse negli eden fiscali (dal 30,3% del 2014-2016), seconda solo a Hsbc (al 62,3%).

La ricerca non rappresenta correttamente la realtà in quanto basata su informazioni incomplete precisano da Siena per poi spiegare: Presumibilmente è stato considerato solo l'utile registrato in Lussemburgo nel 2018 senza tener conto della perdita 2017 e una lettura disgiunta dei dati è impropria essendo i risultati collegati tra loro e connessi all'esecuzione del burden sharing.

Nello stesso periodo, la percentuale media degli utili pretasse contabilizzati nei Paesi fiscalmente attrattivi da Unicredit si è attestata al 4,1% sul totale (dall'11% del 2014-2016), mentre quella di Intesa Sanpaolo al 24,6% (dal 12,5% del triennio. Sul dato hanno influito l'incremento delle attività estere e le perdite in Italia del 2020). Al netto degli utili registrati in Irlanda e Lussemburgo, gli utili realizzati dal gruppo tramite controllate nei paradisi fiscali elencati nel report sono pressoché nulli rimarca Intesa Sanpaolo che sottolinea come né Irlanda né Lussemburgo compaiano in alcuna blacklist.

La Ca' de Sass è tra le sette banche che, secondo il rapporto, nel periodo analizzato ha registrato un tax rate inferiore o uguale al 15% insieme a Rbs, Barclays, Bayern LB, Nord LB, Hsbc e Kbc. Se solo si alzasse al 15% il tax rate minimo, i Paesi europei incasserebbero tra i 3 e i 5 miliardi in più all'anno che salirebbero a 6-9 miliardi in caso di imposizione al 21% e a 10-13 miliardi al 25 per cento. A beneficiare di una tassazione minima al 15% sarebbe innanzitutto la Gran Bretagna che, nel 2020, avrebbe potuto registrare 940 milioni in più, seguita dalla Francia (con 343 milioni) e dall'Italia (69 milioni).

Nonostante il crescente dibattito pubblico su simili tematiche, le banche europee non hanno significativamente rivisto l'utilizzo dei rifugi fiscali.

Per questo potrebbero rivelarsi necessarie iniziative ben più ambiziose, come la previsione di un'imposizione minima al 25% per frenare il fenomeno conclude l'Osservatorio.

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