Il referendum scozzese per l'indipendenza dal Regno Unito è alle porte e nell'attesa, domani, le Borse europee apriranno la settimana nel segno dell'incertezza. Quattro sedute - prima di conoscere i risultati del voto del 18 settembre - in cui «non ci attendiamo grossi scossoni - spiega Gabriele Roghi di Banca Invest - ma listini piatti con una certa volatilità che potrebbe dipendere, più che altro, dall'aggiornamento dei sondaggi». A sostegno di questa tesi anche il fatto che «il Ftse Mib da inizio agosto a oggi - aggiunge l'analista indipendente Andrew Sentance - è salito da 19mila punti a 21mila e proprio mentre si alimentavano le voci di un rafforzamento del sì, difficile quindi il verificarsi di un crollo prima del referendum».
Diverso il discorso post-voto se la scissione fosse realtà. Il caso Scozia «aprirebbe senza dubbio una serie di interrogativi - spiega Roghi - come la proprietà delle risorse naturali e petrolifere, ma anche possibili conseguenze per l'Ue in seno alla sovranità monetaria». Nell'immediato, ovviamente, il primo impatto si avrebbe in Gran Bretagna e nella City. La Scozia vale circa l'8% del Pil britannico, che andrebbe quindi ricalcolato, così come il debito: Edimburgo dovrebbe prendere sulle sue spalle 143 miliardi di sterline (su 1.700). Inoltre, il Regno Unito vedrebbe ridursi le tasse: si parla di un calo dell'8,2%. Quanto all'oro nero, l'85% dei giacimenti di petrolio e gas naturale di Londra sono in territorio scozzese. Un'importante fonte di indipendenza energetica (e di profitto) per l'intero Regno Unito senza la quale il deficit crescerebbe del 2-3%. La Scozia, d'altra parte, si manterrebbe per il futuro con il petrolio: 57 miliardi di sterline di entrate fiscali fino al 2018. A livello societario, secondo Barclays, le società più a rischio («gli investitori potrebbero limitare l'esposizione») sono BG Group (gas), Diageo (gdo) e Bae Systems (difesa). Non secondari, poi, le questioni che riguardano gli istituti di credito. Royal Bank of Scotland e Lloyds, il cui valore sommato equivale al 1.000% del Pil scozzese, hanno infatti sede a Edinburgo. E in caso di scissione, potrebbero spostarsi a Londra. Niente di grave al di qua della Manica se non fosse che, «in caso di shock, sarebbero il classico esempio di banche Too big to fail » commenta un analista. E qui torniamo all'Europa. E al fatto che, nel medio periodo, potrebbe scatenarsi un impatto negativo sulle banche.
Quanto al sistema economico europeo, spiega inoltre l'economista Giulio Sapelli, «è normale nutrire timori sulla possibilità che si verifichi un rialzo dei prezzi, in particolare dei prodotti petroliferi. Nonchè temere iniziative neoprotezionistiche». Per non parlare del problema della moneta che sarà adottata dalla Scozia in caso di scissione: «Se confermassero la sterlina si verificherebbe uno squilibrio - sulla scorta di quello europeo - ovvero una stessa moneta per sistemi economico-sociali diversi» spiega Sapelli considerando la possibilità pericolosa per la produttività. C'è però da dire che per Edinburgo, scegliere la sterlina sarebbe una garanzia finanziaria in quanto avrebbe come riferimento (e prestatore) la banca centrale inglese.
In ultima istanza, «l'effetto politico-economico del sì al referendum sarebbe quello di dare vita a un trend emulativo in altri Paesi dove soffiano «venti» indipendentisti» (in Spagna, Belgio, Serbia, Polonia, Ucraina, Russia).
Una cosa che fa paura - conclude Sapelli - ma che potrebbe arginare l'egemonia tedesca e la sua politica monetaria basata sul rigore e l'austerità. E invertire la rotta della banca centrale che, avendo fallito i suoi obiettivi, e in particolare quello della stabilità dei prezzi, ci sta portando verso una deflazione secolare».
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