Rodolfo PariettiApparentemente, la colpa è del petrolio. O, meglio, del rifiuto opposto dall'Iran alla proposta di congelare la produzione sui livelli di gennaio e del no saudita a un taglio dell'output. Ma ricondurre a una notizia che risale a martedì scorso i crolli di ieri nelle Borse, con ribassi superiori al 2% in Europa (Milano ha perso il 2,6%), può essere vero solo in parte. Il greggio ha certamente condizionato negli ultimi mesi i listini azionari. E l'ultima discesa, un secco -3% fino al tardo pomeriggio di ieri, certo non ha tranquillizzato i mercati del Vecchio continente, che si sono persi il successivo recupero del greggio per effetto del dato positivo sulle scorte settimanali Usa. Ma dall'America sono anche arrivate bad news: l'indice Pmi Composite calcolato da Markit sull'economia Usa a febbraio è sceso a 50,1 punti dai 53,2 di gennaio. Peggio ancora le vendite di nuove case, crollate in gennaio del 9,2% rispetto a dicembre (+8,2%). Segnali di indebolimento confermati dall'Fmi nel documento che presenterà al G20 che si terrà a Shanghai il 26 e 27 febbraio. La crescita globale si è «indebolita ulteriormente», rileva il Fondo, fra le turbolenze finanziarie e il calo dei prezzi degli asset. E i rischi che possa deragliare sono «più alti» in un momento in cui l'economia è «molto vulnerabile a choc avversi». Le spinte deflazionistiche portate dai bassi prezzi petroliferi potrebbero ostacolare la Federal Reserve nel suo percorso di rialzo dei tassi nel 2016. Nelle ultime settimane, quelle successive al giro di vite deciso in dicembre dall'istituto guidato da Janet Yellen, alcuni governatori hanno rilasciato dichiarazioni più prudenti sull'evoluzione dei tassi da qui a dicembre. Al punto che il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, ha accusato ieri la Fed di aver destabilizzato il mercato anticipando l'irrigidimento della propria politica monetaria «prima di dare indicazioni nell'altro senso quattro settimane più tardi».Schaeuble se l'è però presa soprattutto con la politica monetaria troppo lassista di Mario Draghi. «La strada del denaro troppo facile conduce alla sventura», ha ammonito. Con l'avvicinarsi della riunione del 10 marzo in cui la Bce dovrebbe varare l'ampliamento del quantitative easing (manovra che l'Fmi approva), si fa dunque più marcata la contrarietà della Germania verso misure ulteriormente espansive. La Bundesbank ha già messo dei paletti: «Comprare più debito di Paesi che hanno lasciato crescere il proprio debito potrebbe essere frainteso», l'avvertimento del presidente Jens Weidmann.
Il riferimento è all'ipotesi che la Bce rimuova il «capital key», ossia la regola che stabilisce che con il Qe la Bce possa acquistare debito dei vari Paesi in proporzione alla quota di ciascuna nazione nel capitale dell'Eurotower. Una rimozione di cui potrebbe beneficiare soprattutto l'Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.