Rodolfo Parietti
Jens Weidmann studia da una vita per diventare presidente della Bce. Ma il capo supremo della tedesca Bundesbank rischia di restare a terra anche al prossimo giro di giostra, quando nell'ottobre 2019 andrà a scadenza il mandato di Mario Draghi. Sembra, infatti, che Angela Merkel abbia dirottato le proprie attenzioni sulla poltrona di numero uno della Commissione Ue, che Jean-Claude Juncker occuperà fino al novembre del prossimo anno, scaricando in pratica il pur fidato Jens. Così almeno rivela Handelsblatt. Mutti pensa - non a torto - che dal punto di vista delle decisioni politiche Bruxelles sia più importante rispetto all'ottenimento della leadership dell'Eurotower, considerata più di rappresentanza. In questo modo, la Merkel pensa di poter arginare i movimenti populisti e sovranisti, verosimilmente destinati ad avere una maggiore rappresentanza dopo il voto del prossimo mese di maggio. Weidmann diventerebbe una pedina sacrificabile anche per non creare tensioni con i Paesi del Club Med, che in tutti questi anni hanno mal digerito l'avversione del banchiere tedesco verso le politiche di allentamento quantitativo. A cominciare dal nostro: «In Italia rispondono lui, mai a ogni colloquio», cita il giornale vicino alle imprese.
Il numero uno della Buba continua tuttavia a comportarsi come se fosse il presidente in pectore della banca centrale di Francoforte. In un discorso tenuto ieri a Berlino, all'Associazione della Stampa estera, ha spiegato quali dovrebbero essere le coordinate dell'azione della Bce una volta finito sul binario morto il quantitative easing. Sul finis vitae del Qe, Weidmann non ha dubbi: deve chiudersi in dicembre, così come concordato. «Nelle loro proiezioni di giugno - ha ricordato - , gli esperti dell'Eurosistema hanno previsto che l'inflazione annua sarà all'1,7% fino al 2020. Se lo chiedete a me, questo è ampiamente coerente col nostro obiettivo di stabilità dei prezzi di medio termine». Quindi? «Per questa ragione - ha proseguito - è anche tempo di iniziare a uscire dalla politica monetaria ultra-espansiva e dalle misure non convenzionali, soprattutto se consideriamo i possibili effetti collaterali». Parole dal preciso peso politico: sbarrare la strada alla possibilità di una prosecuzione del piano di acquisto titoli significa mettere sull'avviso Draghi, che invece ha sempre mantenuto in vita quest'opzione per far fronte a eventuali emergenze. Inoltre, si tratta di una presa che assume ulteriore spessore nel mentre l'Italia è già alle prese con la risalita degli spread, sotto schiaffo da parte delle agenzie di rating e nel mirino della speculazione internazionale. Insomma: Weidmann lascia cadere l'invito a prolungare il Qe rivolto alla Bce nei giorni scorsi dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti.
Sulla condivisione dei rischi il presidente della Bundesbank ha d'altra parte, e non da ora, un'idea molto precisa: «Coloro che la chiedono dovrebbero essere preparati a rinunciare a più diritti sovrani a livello europeo». Magari accettando l'idea dell'istituzione di un super-ministro dell'Economia a trazione tedesca, ruolo che Weidmann potrebbe voler ricoprire se non riuscirà a diventare il successore di SuperMario.
Comunque, anche un'eventuale condivisione dei rischi non porterà a una mutualizzazione dei debiti: «Il pesante fardello del debito pubblico deve essere spezzato. Ma sono sfide che ogni Stato membro deve affrontare individualmente».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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