Economia

Cara Fornero, noi non siamo choosy

Più del 50% dei laureati di tutte le facoltà mostra di essere disponibile ad adattarsi alle esigenze del mercato del lavoro, anche a costo di sacrifici e fatiche

Cara Fornero, noi non siamo choosy

Il ministro del lavoro, Elsa Fornero, li aveva definiti "choosy", il sottosegretario, Michel Martone li ha apostrofati con l'aggettivo "sfigati" ma la verità è che "non siamo di fronte a una generazione di laureati choosy e poco adattabili". Più del 50% dei laureati di tutte le facoltà mostra di essere disponibile ad adattarsi alle esigenze del mercato del lavoro, anche a costo di sacrifici e fatiche. Ad affermarlo è il 7° Rapporto sulla Sussidiarietà dal titolo "Sussidiarietà e… neolaureati a lavoro" , commissionato dalla Fondazione sussidiarietà, su cui hanno lavorato il dipartimento di sociologia dell'Università Cattolica e il Consorzio AlmaLaurea.

“Contrariamente a quanto sistematicamente sostenuto da una certa vulgata – spiega il Rapporto - i neolaureati italiani non sono esclusivamente alla ricerca spasmodica del famoso posto fisso: quel che più conta, almeno nella prima fase della loro carriera, è crescere professionalmente, acquisire nuove competenze, vivere esperienze significative”. Questo dato incoraggiante non deve però far dimenticare le numerose criticità che rendono difficile l’inserimento lavorativo dei giovani laureati, soprattutto per quel riguarda le donne. Nonostante il raggiungimento del diploma, 1 laureato su 3 ha un basso grado di realizzazione. Tra questi vi è una preoccupante dominanza femminile, laureate in materie letterarie e psicologiche, residenti nel Sud e Isole, con contratti parasubordinati o in nero, impiegate nel settore non profit dei servizi sociali, nella stampa e nell’editoria, con famiglie d’origine a basso capitale culturale, padre operaio oppure lavoratore in proprio. Sul fronte opposto, nel gruppo di laureati con il più elevato grado di realizzazione (37,7%), troviamo una maggioranza di uomini, laureati in medicina, ingegneria o in materie chimico farmaceutiche, con lavoro e/o residenza all’estero o al Nord e contratti a tempo indeterminato. Si conferma dunque un nesso preoccupante tra differenziali di realizzazione e differenze di genere e status culturale e socio- economico della famiglia d’origine. Seppure il fenomeno in qualche modo si sia ridotto negli ultimi anni, il Rapporto ribadisce infatti che la disuguaglianza delle opportunità educative – determinate da differenti distribuzioni nei capitali familiari di tipo culturale, economico e sociale – appaiono persistenti. Ne è un esempio l’acesso allo stage all’estero, un’esperienza che ancora garantisce una maggiore probabilità di trovare lavoro. L’utilizzo di questo strumento, infatti, è ancora limitato a una minoranza dei laureati (8,8%), le cui origini sociali sono medio-alte. “Questo elemento – afferma il Rapporto - non fa che confermare il rischio di un’università che, seppur formalmente aperta a tutti e dunque idealmente universalistica ai blocchi di partenza, appare incapace di rimuovere quei “vincoli di liquidità” di cui parla la teoria economica”. Non tutte le lauree poi sono uguali. Quelle associate a migliori performance nel mercato del lavpro sono quelle del gruppo medico e chimico- farmaceutico. La laurea in agraria porta a un alto livello di utilizzo delle competenze, ma non a una retribuzione elevata. Una dinamica analoga, anche se meno accentuata, si registra nelle lauree del gruppo educazione fisica. Il gruppo ingegneria si colloca nelle posizioni intermedie per utilizzo delle competenze ma nei punteggi più elevati per reddito.

Ma se è allo stipendio che guardiano il rapporto non ha dubbi: un lavoro a tempo pieno e all’estero (entrambi per il 17% della spiegazione complessiva) è il miglior predittore di un lauto stipendio. Che sia il caso di emigrare davvero tutti all’estero? Speriamo proprio di no!

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