di Francesco Forte
Susanna Camusso sta ponderando se far aderire la Cgil all'accordo minimale sulla produttività che, dopo faticose negoziazioni, è stato concluso dalla Confindustria e dalle altre associazioni delle imprese con Cisl e l'Ugl. Ho scritto «minimale», perché tale è questo testo, redatto in faticosa prosa sindacalese, rispetto a quelli firmati con Fiat dal sindacato americano dell'auto (Uaw) per i lavoratori della Chrysler per consentire a questa impresa di recuperare la produttività, con cui è tornata, alla grande, sul mercato internazionale. Potevo anche scrivere «addomesticato», perché tale esso risulta nel confronto con i contratti aziendali approvati, a maggioranza dai lavoratori, nelle fabbriche Fiat.
Il nuovo accordo non prevede che tutto il contratto di produttività sia demandato alla contrattazione di secondo livello (quella aziendale o di distretto), ma stabilisce che per alcune tematiche i criteri fondamentali sono posti nel contratto nazionale e che alcune tematiche non sono negoziabili. Una di esse è il demansionamento, cioè la modifica delle mansioni con perdita di qualifiche superiori, un'altra è il controllo delle assenze e la terza è quella dei comportamenti negligenti. Anche la variazione dell'orario di lavoro è esclusa. Si tratta invece di temi che sono considerati nei contratti aziendali dell'auto. Temi molto rilevanti, in genere, quando si tratta di imprese da ristrutturare e in cui occorre cercare di salvaguardare il più possibile i posti degli addetti esistenti, modificandone, se occorre le condizioni, per sviluppare la produttività in tutti i modi possibili.
Il caso dell'auto è emblematico. Non è un settore di avanguardia tecnologica, ma uno maturo, in cui per competere sul mercato internazionale - affollato nelle economie ad alto reddito, ma con domanda in espansione nelle economie emergenti - la produttività del lavoro è di cruciale importanza. I tedeschi, ove il costo del lavoro è più alto che da noi, stanno andando molto bene perché hanno adottato la contrattazione aziendale basata sulla produttività, con criteri di flessibilità. Gli americani che parevano fuori gioco, dato l'alto livello dei salari e il lassismo, sono riemersi per la stessa ragione.
Perché non si può fare lo stesso anche da noi e non solo nel settore dell'auto imitando i tedeschi, ma anche in tanti altri, di tecnologia intermedia, buona qualità e buon design, in cui il made in Italy ha reputazione? Noi arranchiamo, perché abbiamo bisogno disperato di produttività; una virtù perduta, per molte ragioni, fra le quali emerge il fatto che i contratti di lavoro non si sono adeguati al nuovo metodo. Sono rimasti a quello arcaico dei contratti nazionali unici per ogni settore, in un mondo in cui le categorie di una volta non valgono più, perché i beni e i servizi, i settori della meccanica e dell'elettronica, della chimica e del tessile si sono mescolati e non caratterizzano più le tipologie di imprese. Anche le mansioni non sono più classificabili con le vecchie gerarchie. E gli orari validi non sono più quelli tradizionali.
La Camusso, che capeggia i dinosauri della Cgil, non sa cosa fare. Vorrebbe firmare perché l'accordo minimale è incentivato da esoneri fiscali consistenti e perché il continuare a dire «no», di fronte alla duttilità della Confindustria, può togliere alla sua organizzazione il ruolo di interlocutore privilegiato. Ma la Fiom, il più grosso dei dinosauri cgiellini dice «no» all'accordo.
Nelle aziende di Fiat, i lavoratori, per difendere l'occupazione propria e dei loro figli, hanno firmato accordi più avanzati, che la Cgil con Fiom ha respinto, costringendo Fiat a star fuori da Confindustria. Camusso dovrà obbedire a Fiom. Oppure si barcameneranno secondo il costume gelatinoso che li caratterizza. A loro la teoria del rigore per combattere lo spread non si applica. E degli altri non si preoccupano.
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