Chiude il paradiso fiscale delle Cayman

Il governo alza il velo sui nomi delle aziende e dei manager domiciliati nel possedimento britannico

Trasparenti: come le acque cristalline che le circondano. Da sempre il paradiso dell'opacità fiscale, con quel sipario impenetrabile di riservatezza calato a proteggere business, conti cifrati e qualche pirata della finanza, le Cayman sono pronte ad accendere i riflettori su tutto ciò rimasto finora in ombra. Le isole, un territorio britannico con un imbarazzante rapporto tra abitanti (poco più di 56mila) e hedge fund domiciliati (ufficialmente, 9.438), intendono creare un maxi-database in cui far confluire le migliaia di aziende presenti e introdurre riforme fiscali radicali.

Il Financial Times dedicava ieri un ampio reportage a quella che si annuncia come una vera e propria rivoluzione, con ripercussioni ancora non del tutto prevedibili non solo sul possedimento di Sua Maestà la Regina, ma soprattutto su coloro che finora hanno approfittato delle norme di particolare favore sotto il profilo fiscale. Condizioni risalenti - ma forse è solo una leggenda isolana - addirittura ai tempi di Giorgio III, fine Settecento.

Lì, in quel tratto di Mar delle Antille poco sotto Cuba, non si paga un solo centesimo d'imposte, a patto di non far rientrare i redditi nel Paese di residenza. Un paradiso, appunto. Già finito nella lista nera del governo italiano nel 1999 (e mai più uscito) e un anno dopo nella black list dell'Ocse. Col fiato sul collo dei Paesi più industrializzati, le Cayman avevano promesso nel 2003 di adeguarsi agli standard di trasparenza e di controllo internazionali. Poi, per la verità, nulla era cambiato. Fino alla svolta attuale, casualmente coincidente con la pubblicazione da parte del Tesoro Usa delle nuove norme anti-evasione con cui si obbligano le banche a livello globale a informare all'Irs, l'agenzia delle entrate americane, i bilanci e le attività dei conti intestati ad americani. «Non è più accettabile che i responsabili degli hedge fund delle Cayman continuino ad essere esecutori materiali di decisioni altrui», ha svelato una fonte al Financial Times.

La prima riforma delle isole scoperte da Cristoforo Colombo all'inizio del '500 riguarderà il database pubblico in cui saranno inseriti i nomi dei fondi domiciliati nelle Cayman e i cognomi dei loro manager, che saranno sottoposti a un approfondito controllo ai fini di capire se agiscono come fiduciari degli investitori. Sotto l'egida della Cima, la potente autorità monetaria locale, questa prima iniziativa dovrebbe essere finalizzata entro metà marzo.

Tempi insomma rapidi per alleggerire le pressioni esercitate da Europa e Stati Uniti in nome di una maggiore trasparenza. Anche se per la verità nell'ultimo periodo il pressing maggiore è stato quello degli investitori negli hedge fund.

Il motivo? Semplice: ora come ora, molti dei maggiori fondi pensione mondiali non hanno la possibilità di verificare i dettagli dei fondi delle Cayman in cui investono nè sapere quali sono i manager in loco che ne possono determinare fortune e sfortune, truccare performance e, in casi estremi, anche «rubare» asset. Come aveva rivelato lo stesso Financial Times nel 2011, molti dirigenti attivi alle Cayman siedono in centinaia di consigli di amministrazione di hedge fund. Non certo un fulgido esempio di indipendenza.

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