Tagliare i tassi per ben sei volte in meno di un anno, come ha fatto la Cina con la sforbiciata decisa ieri da un quarto di punto (al 4,35%), non è mai un buon segnale. Significa che i ripetuti aggiustamenti operati sulla politica monetaria non hanno sortito gli effetti sperati. Così come la triplice svalutazione dello yuan della scorsa estate non ha portato benefici alle esportazioni dell'ex Impero Celeste. Pechino continua a sparare cartucce a salve mentre il Pil perde slancio, e l'obiettivo di una crescita di almeno il 7% quest'anno sta via via diventando un miraggio.
I mercati, tuttavia, di fronte all'ennesima azione di stimolo varata da una banca centrale fanno festa. Da un certo punto di vista, c'è forse la speranza che la manovra della People's Bank of China riesca stavolta in qualche modo a rinvigorire il passo stanco del Dragone, magari attraverso il canale dei prestiti, potenzialmente allargato in seguito alla riduzione dello 0,50%, al 17,5%, del coefficiente di riserva obbligatoria delle banche. Se è vero che la Cina stenta a effettuare il passaggio da un'economia basata quasi prevalentemente sul made in a una in cui anche la domanda interna ha un suo peso, ciò è anche dovuto al fatto che molti consumatori sono rimasti intrappolati in una doppia bolla, immobiliare e borsistica. Che, una volta esplosa, ha bruciato miliardi di risparmi. Chi si è scottato, ora è diventato molto più prudente. O, peggio ancora, si è ritrovato con debiti fino al collo. Le più recenti stime della Banca Mondiale calcolano che l'esposizione delle famiglie è pari al 40% del Pil, una percentuale che, se sommata a quella delle imprese, sfiora il 200%. Una situazione da allarme rosso maturata in pochi anni: prima della crisi dei subprime i debiti rappresentavano il 120% del prodotto lordo. Inondare il mercato con altri 90 miliardi di dollari di liquidità tramite l'abbassamento dei requisiti di riserva obbligatoria, è dunque un azzardo che potrebbe finire male.
Ma i mercati, al tirar delle somme, hanno preferito non tenere conto della minaccia ancora rappresentata dalla Cina. Così, ha corso soprattutto la Borsa di Francoforte (+2,88%), dove probabilmente si scommette sul fatto che il 30 ottobre la Cancelliera Angela Merkel rientrerà dalla visita a Pechino con un ricco book di nuovi ordini. Autentica manna per un Paese choccato dallo scandalo Volkswagen e alle prese con una crescita in progressivo rallentamento. Ma gli acquisti sono fioccati anche a Parigi (+2,5%), Madrid (+1%), Bruxelles (+3,6%) e, con meno forza, a Milano (+0,53%), a dimostrazione che ogni azione espansiva disposta dalle banche centrali è salutata a colpi di rialzo. Del resto, sia nell'andamento di ieri dell'euro, sceso sotto quota 1,10 dollari, sia in quello dello spread Btp-Bund (a 94 punti), era ancora visibile l'effetto delle parole di giovedì scorso con cui il numero uno della Bce, Mario Draghi, ha annunciato l'allargamento in dicembre del piano di acquisto di titoli.
Se l'Eurotower ha preso formalmente posizione contro i rischi di deflazione, è probabile che nella riunione della prossima settimana anche la Banca del Giappone possa decidere un allentamento che andrebbe a sommarsi alla rivoluzione neo-keynesiana (e finora inconcludente) dell'Abenomics.
Ma mercoledì prossimo l'attenzione dei mercati sarà tutta calamitata dal vertice della Federal Reserve.
L'inatteso miglioramento dell'indice Pmi manifatturiero (a 54 punti in ottobre dai precedenti 53,1) ha in parte rilanciato le chance di un rialzo dei tassi, il primo dal 2008. Ma il consensus continua a indicare che la correzione di rotta non avverrà prima del marzo 2016. Sempre che Janet Yellen non abbia cambiato idea sul pericolo cinese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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