Mezzo secolo. A tanto arrivano in Italia i tempi di attesa di opere infrastrutturali, per lo più ormai considerate lettera morta. Pochi giorni fa il Paese ha celebrato il primo test del Mose di Venezia (iniziato 10 anni fa e che sarà ultimato tra altri 3, per un costo previsto di 5,5 miliardi). Un'opera indiscutibilmente grandiosa e simbolo del nostro sapere ingegneristico, ma il bilancio italiano dei grandi lavori potrebbe difficilmente essere peggiore, a causa delle raffica di «incompiute» che rappresentano la vergogna di un Paese precipitato all'82esima posizione nelle classifiche mondiali. Secondo Confesercenti-Ref, l'Italia figura nel ranking infrastrutture dopo il Kenya, l'Uruguay e il Botswana. Paesi lontani, realtà diverse. Ma i conti non tornano nemmeno nel confronto europeo: la Francia è al quinto posto, la Germania al nono, il Portogallo all'undicesimo, la Spagna al diciottesimo come spesa pro-capite per infrastrutture.
D'altra parte, da Nord a Sud, basta guardarsi intorno per individuare cantieri a cielo aperto lasciati a metà, o mai cominciati. Spesso per ragioni economiche, o a causa della complessa normativa sugli appalti, ma sempre di più per la crescente opposizione di ambientalisti e movimenti sociali che battagliano al motto «Nimby» (Not in my back yard, Mai nel mio giardino).
Una stima ufficiale di tutte le opere mancate non c'è ancora, anche se il governo, nel tentativo di mettere ordine, ha creato un'anagrafe nazionale in cui gli enti locali stanno facendo confluire elenchi dettagliati. È stato comunque già tentato un «censimento» e le organizzazioni governative e non, che si sono cimentate, parlano di almeno 400 casi eclatanti e di miliardi sperperati, con una forte concentrazione in Sicilia. Tuttavia, al di là dei casi più noti, come il Ponte sullo Stretto di Messina, un viaggio virtuale per l'Italia non risparmia nessuno.
In Lombardia, sono ormai storia i casi di Brebemi (in corso da 16 anni) e di Tem (9 anni), mancano poi il 50% delle opere per l'Expo 2015: dai completamenti stradali a nuove tratte della metropolitana. A Cantù, in provincia di Como, la squadra di basket campione d'Italia gioca in trasferta da oltre 40 anni, perché il palazzetto che dovrebbe ospitarla non riesce a vedere la luce. E non va meglio in Friuli, dove, a causa del patto di stabilità milioni e milioni sono congelati e le opere ferme. Tra i lavori bloccati ci sono il cosiddetto «mini Mose» del Villaggio del Pescatore e nel comune di Muggia (Trieste) sono al palo i progetti di ristrutturazione dello stadio e la riqualificazione della costa. In Veneto, la punta dell'iceberg è sempre la Pedemontana Veneta sottoposta a continui stop and go. Anche in Laguna, a Venezia, non mancano gli esempi con il progetto del Palacinema lanciato nel 2006 ma finito nel nulla. Così come la riqualificazione dell'ex ospedale al Mare. Quasi come a Genova, dove il Terzo Valico sta prendendo le mosse in questi giorni dopo oltre trent'anni. Scendendo nel centro Italia, è evidente la mancanza di linee ad alta velocità sulle dorsali adriatiche e tirreniche. In Toscana, il sito della regione segnala oltre 1.000 opere (per 2,7 miliardi) da portare a termine. E tra quelle fantasma, la più suggestiva è il planetario di Lucca lasciato a metà dopo essere stato finanziato per 1,5 milioni. A Roma, oltre alla «metro c», spicca la Città dello sport di Tor Vergata, cantiere a cielo aperto dai tempi della giunta Veltroni.
Sfogliando il libro bianco sui Trasporti, ci si imbatte poi in altre incompiute eccellenti: l'autostrada Roma-Latina (in corso da 11 anni), il collegamento Montesilvano-Collecorvino (27 anni), la trasversale Fano-Grosseto (50 anni). A Sud, l'autostrada Ragusa-Catania (11 anni), il polo di interscambio Striano-Palma Campania (9 anni) e il completamento della Bari-Matera (10 anni). Strade a parte, in Sicilia il comune di Giarre (Catania) si è guadagnato il titolo di capitale dell'incompiuto grazie a una dozzina di opere mai terminate: tra queste, uno stadio di polo ai piedi dell'Etna. A Lamezia, infine, dagli anni Settanta un pontile si protendeva per 640 metri: avrebbe dovuto servire l'impianto chimico della Sir. È crollato un anno fa senza aver servito una nave.
Nell'elenco andrebbero poi ricomprese le tante infrastrutture bloccate dagli ambientalisti e dai movimenti «Nimby»: nel 2012 i progetti contestati sono stati 354 (+7% sul 2011). Tra le opere più controverse, si annoverano le centrali a biomasse (con 108 impianti), le centrali idroelettriche (32) e i parchi eolici (32).
L'Italia è all'82mo posto al mondo nella classifica delle infrastrutture, peggio di Kenya e Botswana
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