Rodolfo PariettiNon una discesa agli inferi, solo un gradino più in basso. Ma è quanto basta all'Eni per perdere la «A» e scivolare a «BBB+» dopo il declassamento deciso ieri da Standard&Poor's, e a «Baa1» come disposto da Moody's. È la prima volta nella storia del gruppo guidato da Claudio Descalzi che dal marchio sparisce il bollino blu dell'eccellenza finanziaria, ennesimo sacrificio imposto dal precipitare delle quotazioni del petrolio. Il Cane a sei zampe è peraltro in buona compagnia. Già nello scorso febbraio la scure di S&P si era abbattuta su alcune delle principali major mondiali come Shell e Chevron, mentre altre (da Bp a Total, da Statoil a Exxon) potrebbero presto subire il downgrade. Segno di una condizione delicata che rischia di non risparmiare nessuno. Non potrebbe essere altrimenti. Come ricorda il Fondo monetario internazionale in un documento con cui anticipa i contenuti del World Economic Outlook, dal giugno del 2014 i prezzi del greggio hanno subito una picchiata del 65%. In soldoni, 70 dollari circa per ogni barile. Un'enormità che ha stressato i bilanci e costretto le compagnie a rivedere i propri piani. «I bassi prezzi del petrolio avranno un effetto negativo duraturo sul merito creditizio di Eni, nonostante la recente riduzione del debito a seguito del deconsolidamento di Saipem», spiega S&P nel motivare la decisione. Mentre Moody's rimanda al più debole cash flow, ai rischi di stop nella vendita degli asset e a quelli sulla crescita della produzione nei prossimi 2-3 anni. Sotto il profilo strettamente finanziario, una tacca in meno del rating è abbastanza indolore: è stato infatti conservato l'investment grade, lo status necessario agli investitori istituzionali per mantenere in portafoglio i titoli (ieri in calo a Piazza Affari del 2%). Un ulteriore elemento positivo è legato alle prospettive, giudicate «stabili» da entrambe le agenzie (e ciò esclude un'ulteriore bocciatura a breve). S&P ritiene che il merito di credito di Eni migliorerà infatti gradualmente nel 2017-2018 grazie all'apprezzamento del prezzo del petrolio, con riflessi benefici sui flussi di cassa. Tra gli altri punti positivi, anche i costi relativamente bassi e la stima di una produzione più forte dei concorrenti, così come il taglio dei costi e l'impegno a limitare l'aumento del debito attraverso le dismissioni. Moody's apprezza invece «il solido posizionamento» del gruppo e la politica dei dividendi adottata per rispondere a uno scenario di bassi prezzi.
Certo, rimane un'incognita: dove si posizioneranno le quotazioni del barile nei prossimi mesi? Risposta impossibile. Col petrolio è facile sbagliare. Anche l'Fmi recita il mea culpa: «La tanta anticipata spinta per l'economia globale (derivante dal cheap oil, ndr) deve ancora materializzarsi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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