Economia

Così le banche venete aggiravano i controlli

Nelle mail e nei documenti inviati da Bankitalia ai pm i retroscena che hanno impedito i controlli e portato al crac delle banche venete

Così le banche venete aggiravano i controlli

Una "rete di protezione" ha permesso alle banche venete di aggirare i controlli della Banca d'Italia ed effettuare operazioni irregolari che le hanno portate al crac.

Una rete scoperta solo grazie alle email inviate da Bankitalia alla commissione parlamentare presieduta da Pier Ferdinando Casini e alle lettere che l'organismo di vigilanza bancaria ha scritto ai pm di Roma che indagano sul fallimento degli istituti bancari.

Il caso di Veneto Banca

In particolare, dagli atti - racconta il Corriere - emerge che già alla fine del 2015 Bankitalia aveva disposto approfondimenti su "alcune operazioni di movimentazione di azioni di Veneto Banca da cui è emersa la sussistenza di elementi di irregolarità". Le verifiche sono state fatte su "tutti i trasferimenti effettuati nel 2015 aventi a oggetto titoli della banca" e "hanno evidenziato l’esigenza di attivare la procedura di segnalazione di operazione sospetta in relazione a 69 fattispecie realizzatesi nel corso dell’anno". Segno, spiega ancora il Corriere, "che la strada tracciata da Bankitalia non era stata percorsa".

Già due anni prima, tra l'altro, fu proprio Ignazio Visco a scrivere a Veneto Banca per segnalare criticità e "l’elevata esposizione ai rischi creditizi", dovuti anche all'eccessiva "concentrazione di potere in capo all’amministratore delegato, a cui non ha fatto da contrappeso, anche in forza del solido rapporto con il presidente, il pletorico consiglio, connotato da una dialettica interna modesta, dall’inconsistenza del ruolo degli indipendente della diffusa situazione di conflitto di interessi".

Le "strane" assunzioni di PopVicenza

Contemporaneamente la Popolare di Vicenza, guidata da Gianni Zonin, faceva "strane" assunzioni, "Tre funzionari della Banca d'Italia (Gianandrea Falchi, Luigi Amore e Mario Sommella) e altri dipendenti pubblici sono andati a lavorare presso la Banca", ha rivelato il procuratore Antonino Cappelleri alla commissione parlamentare, aggiungendo di "non avere più strumenti per sequestrare i beni di Zonin" e che "gli ex vertici avevano creato un ristretto gruppo di comando dal quale stavano fuori gli altri consiglieri e sindaci e hanno fuorviato e nascosto i documenti agli ispettori di Banca d’Italia

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