Così Caracas camuffa l'iper-inflazione

Maduro inonda il Venezuela di banconote di piccolo taglio

Rodolfo PariettiLa scena è questa: 36 Boeing 747, veri giganti dell'aria, atterrano all'aeroporto di Caracas. Dalle fusoliere vengono estratti miliardi di bolivar, la moneta nazionale, freschi freschi di stampa. Signore e signore, benvenuti in Venezuela, il Paese che sta ricaricando il nastro della storia con un film dell'orrore nello stile tedesco di Weimar. Già: mentre Mario Draghi combatte contro la deflazione, lì il presidente Nicolas Maduro deve fare i conti con un'iper-inflazione che, se i calcoli del Fondo monetario si riveleranno esatti, dovrebbe schizzare al 720% a fine 2016, impoverendo ulteriormente una nazione che dovrebbe invece essere ricchissima. Mauro ha peraltro appena ottenuto poteri speciali per gestire una crisi definita «esplosiva e destinata a protrarsi per «tutto quest'anno» e una parte del 2007.Il Venezuela è infatti seduto su un mare di petrolio, con riserve che qualcuno considera superiori perfino a quelle dell'Arabia Saudita. La rivoluzione socialista di Hugo Chavez, il predecessore di Maduro, è andata a braccetto per anni con i profitti opulenti garantiti dalle esportazioni di greggio. Erano gli anni in cui il ritmo di crescita del Pil era attorno al 7%, il welfare era facilmente finanziato e la pace sociale garantita. Ora tutto questo è stato cancellato: il Paese attraversa da mesi una crisi gravissima (sempre il Fmi stima una contrazione economica dell'8% quest'anno), in una miscela esplosiva fatta di penuria di beni di prima necessità, prezzi in continua e rapidissima ascensione, proteste e violenze. È il pedaggio, assai salato, che il Venezuela paga alla mancata diversificazione delle attività produttive. La totale dipendenza dall'oro nero si è infatti rivelata un boomerang micidiale, non appena i prezzi del barile hanno imboccato la china discendente che li ha portati dal picco dei 147 dollari dell'estate 2014 ai circa 30 di questi giorni. Maduro ha ammesso che per far ripartire il Paese le quotazioni del greggio dovrebbero tornare almeno a 88 dollari. Un livello neppure ipotizzabile nel breve periodo. Intanto, ogni calo di 10 dollari del barile costa ai venezuelani 7,5 miliardi di dollari. Perdite che non possono permettersi, visto che entro fine anno dovranno essere onorati debiti per 9,5 miliardi di dollari, di cui due miliardi scadono questo mese. Ma, crollati gli incassi un tempo garantiti dal greggio, le riserve di valute pregiate sono ormai prosciugate: ne resterebbero appena per 2,4 miliardi di dollari.Con l'inflazione che morde sempre di più, c'è anche il problema della continua penuria di banconote. Ecco perché il governo ordina all'estero la stampa di bolivar nuovi di zecca, da trasportare sui jumbo e poi mettere in circolazione. Ora sarebbero in arrivo altri 10 miliardi di banconote con cui raddoppiare l'ammontare del cash disponibile. Questo ordine è ben al di sopra degli otto miliardi di banconote che Federal Reserve e Bce stampano ogni anno, con la piccola differenza che il bolivar non è una moneta di riserva mondiale. Inoltre, i costi dell'operazione (stampa, trasporto aereo e stoccaggio) sono altissimi, nell'ordine di milioni di dollari.

Sarebbe più economico creare una banconota da 100mila, piuttosto che inondare il Paese con tagli tra i 50 e 100 bolivar, insufficienti a tenere il passo dei prezzi al galoppo. Ma così facendo, il governo sarebbe costretto ad ammettere quell'iper-inflazione che si ostina a negare.

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