Crac Evergrande, Cina blocca i bitcoin

Pechino dichiara illegali le transazioni "cripto". Obiettivo: evitare fuga di capitali

Crac Evergrande, Cina blocca i bitcoin

Evergrande affonda, lasciando a bocca asciutta gli investitori che aspettavano di incassare 83,5 milioni di dollari, ma Pechino non sembra occuparsene. O forse no, perché l'annuncio con cui la People' Bank of China (Pboc) ha dichiarato ieri illegali tutte le transazioni e le attività legate alle criptovalute, potrebbe in realtà avere uno scopo ben preciso: quello di impedire un forte deflusso di capitali attraverso il canale delle monete elettroniche. Una fuga innescata dal crac del colosso immobiliare e dai timori di ricadute sull'intera economia. Preoccupazioni che non paiono peraltro infondate da parte del Dragone, visto che il Tether Coin è uno dei mezzi preferiti dai residenti cinesi per riciclare all'estero valuta nazionale per un controvalore superiore ai 1.000 miliardi di dollari.

Ufficialmente, non si può più comprare e vendere crypto in quanto «non hanno lo stesso status giuridico della moneta in corso legale e non possono essere distribuite sul mercato come moneta». Ergo, scambi e transazioni sono «attività finanziarie illegali», soprattutto se vengono impiegate le valute digitali straniere, le più bersagliate dalla Pboc e per questo crollate ieri sui mercati (Bitcoin ha perso oltre l'8%).

Quella contro le monete 2.0 è una guerra senza tregua che il governo cinese combatte da quasi da un decennio. Già nel 2013 era stato ordinato ai fornitori di servizi di pagamento di terze parti di smettere di usare le valute immateriali. Ma è dal 2017 che i giri di vite si sono intensificati. Prima la croce posta sopra alle vendite di token, poi la messa la bando degli scambi di criptovalute all'interno dei confini nazionali, aggirato però grazie a transazioni peer-to-peer, e quindi lo stop al mining (l'attività di «scavo» per estrarre i bitcoin). Infine, la recente stretta su banche e società di pagamento, alle quali è stato imposto di assumere un ruolo più attivo nell'eliminare gli scambi in criptovalute.

Con il blocco delle transazioni, il Paese asiatico guidato da Xi Jinping (nella foto) alza il livello dello scontro.

Una mossa difensiva decisa dopo il mancato rimborso del bond a cinque anni in dollari da parte di Evergrande. Il gruppo di Shenzen ha ora un mese di tempo per saldare il dovuto, ma è quasi certo che le agenzie di rating ne dichiareranno il default selettivo, visto che la società non è ancora insolvente nei confronti degli investitori cinesi. Nessuno però si illude: se il governo cinese non scenderà in campo, Evergrande non potrà onorare i propri impegni.

Due gli scenari possibili: una ristrutturazione del debito, molto dolorosa per i bondholder; oppure un fallimento che avrebbe ripercussioni sul mercato immobiliare cinese, il cui valore è pari a 60mila miliardi di dollari, sulla crescita dell'ex Impero Celeste e, forse, sull'intera economia globale. La Banca centrale europea sta monitorando la situazione, anche se la presidente Christine Lagarde ha dichiarato ieri che «l'esposizione diretta dell'eurozona verso Evergrande sarebbe limitata».

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