Il gip del Tribunale di Bari, Francesco Pellecchia, ha disposto la misura restrittiva degli arresti domiciliari per Marco Jacobini l'ex presidente della Banca Popolare di Bari, per il figlio Gianluca, ex vicedirettore generale, e per l'ex responsabile della funzione Bilancio, Elia Circelli. Disposta la misura dell'interdizione per un anno dalle funzioni bancarie e dalla dirigenza di società per l'ex amministratore delegato Vincenzo De Bustis Figarola. Altre cinque persone sono indagate: l'altro figlio di Marco Jacobini, Luigi (ex vice dg), Giorgio Papa (ex ad), Roberto Pirola e Alberto Longo, ex presidenti del collegio sindacale, e Giuseppe Marella, ex capo dell'Internal audit. Sono state sostanzialmente accolte le richieste del procuratore aggiunto Roberto Rossi e dei sostituti Savina Toscani e Federico Perrone Capano.
Agli ex vertici dell'istituto commissariato lo scorso 13 dicembre (per il quale il governo e il Fondo interbancario hanno predisposto un piano di salvataggio da oltre un miliardo) sono contestati: 13 episodi di falso in bilancio, commessi tra il 2014 e il 2018, un episodio di falso in prospetto relativo al collocamento delle azioni dell'aumento di capitale, sei di ostacolo alla vigilanza ai danni di Consob e Bankitalia, maltrattamenti ed estorsioni nei confronti di Luca Sabetta, ex chief risk officer. Insieme alla notifica delle misure cautelari e degli avvisi di garanzia, sono state effettuate anche 17 perquisizioni, sia nelle abitazioni degli indagati che nella direzione della Popolare. Le dichiarazioni di Sabetta insieme a quelle degli ex dirigenti indagati Benedetto Maggi (ex vice capo dei Crediti) e Giorgio Papa sono l'architrave dell'accusa.
Nel dettaglio, il giudice per le indagini preliminari ha accolto la tesi dei pm secondo cui sarebbero state poste in essere «continuate condotte fraudolente finalizzate alla esposizione nei bilanci 2014, 2015, 2016, 2017 e nella semestrale 2018 di dati non veritieri al fine di occultare perdite di rilevante entità». Il patrimonio della banca sarebbe stato «gonfiato artificiosamente» mediante la cartolarizzazione di Npl ceduti alla finanziaria Chariot Funding Llc e successivamente riacquistati. Sarebbero stati inoltre indebitamente contabilizzate dal 2015 al 2018 imposte anticipate sulle perdite fiscali per 141 milioni di euro «nella piena consapevolezza che la banca non avrebbe potuto conseguire negli anni successivi gli utili necessari» per riassorbirle. Sarebbero state omesse le svalutazioni degli avviamenti delle acquisizioni di Tercas e di altri complessi aziendali per circa 400 milioni.
Il giudice Pellecchia ha poi evidenziato «il ruolo assolutamente preponderante di Marco e Gianluca Jacobini nella gestione dell'istituto» e l'«estrema accondiscendenza dei vertici della Banca d'Italia che, pur avendo rilevato la grave situazione conseguente al conflitto d'interessi, non ha mai esercitato i poteri di removing».
I magistrati contestano a padre e figlio («privi dei rapporti regolamentari per realizzare tale gestione») l'interazione con alcuni grandi clienti tra i quali il fallito gruppo Fusillo e la falsificazione delle verbalizzazioni del comitato crediti cui Marco Jacobini partecipava senza legittimazione.Infine, si contesta il tentativo di Marco e Gianluca di spostare nell'imminenza del commissariamento 5,6 milioni sui conti delle rispettive mogli.
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