Crediti deteriorati e Pmi

Le banche, da che mondo è mondo, sono portate a riservare trattamenti di favore a grandi aziende, gruppi societari, famiglie di un certo cabotaggio. In Italia, poi, non temiamo concorrenza: siamo maestri indiscussi del prestito facile verso i soliti noti. Peccato che poi i nodi vengono alla pettine e così si scopre che l'80% delle sofferenze degli italici istituti di credito è farina del sacco delle grandi imprese (Fonte: Cgia Mestre). Vai poi a fidarti degli amici. O degli amici degli amici.

Ecco gli esiti nefasti del capitalismo di relazione che non va mai in pensione. A pagare le conseguenze di tale liason la quasi impossibilità delle piccole imprese ad ottenere credito agli sportelli. Solo nell'ultimo anno (aprile 2016 su aprile 2015) gli impieghi alle imprese italiane hanno subito la drastica contrazione di 24,3 miliardi. Quante ne abbiamo lette di questi tempi sui Brambilla insolventi; sugli artigiani della porta accanto che vengono meno agli impegni presi.

Tacciati come la solita categoria inaffidabile, troppo piccola per reggere l'urto di mercati in continua evoluzione. La storia, invece, è diversa. Rimboccandosi le maniche e senza beneficiare di ascolto alcuno, le piccole imprese continuano a trainare l'economia reale.

Bisogna prenderne atto, invece di fingere. E dunque, anziché penalizzarle un giorno sì e l'altro pure, la Banca d'Italia, a proposito di crediti deteriorati, farebbe bene a dividere per categorie gli insolventi con le banche.

E promuovere soluzioni realistiche e mirate. Tenere tutto nello stesso calderone non agevola; come avverte anche Romano Prodi a proposito di mutui e sofferenze che toccano le famiglie e quindi le banche. Anzi, quei criteri favoriscono solo mosse capestro per piccole imprese e famiglie, storicamente le più indifese.

Un'attenzione specifica verso chi fa stare in piedi questo benedetto Paese avrebbe il respiro del cambio di passo economicamente impeccabile.

www.pompeolocatelli.it

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