Alan Greenspan, il più longevo presidente della Federal Reserve, lo avrebbe definito un «conundrum», un enigma di difficile soluzione. In effetti non è facile spiegare, quest'anno vissuto dalle Borse in sella al Toro senza quasi mai subire un disarcionamento. Il Nasdaq, balzato giusto ieri sopra i 9mila punti, un record storico agguantato dopo 11 rialzi consecutivi, è l'emblema del faccione sorridente di Wall Street e il bollino blu dell'eccellenza finanziaria che Donald Trump può sbattere in faccia ai propri detrattori.
Nonostante la spada di Damocle dell'impeachment, malgrado il braccio di ferro commerciale con la Cina e la battaglia sui tassi con il capo della Fed, Jerome Powell, il tycoon si appresta a chiudere l'anno che precede la corsa per la Casa Bianca con un cospicuo arrotondamento dei listini: +20% il Dow Jones, +28% l'S&P500, per la prima volta in assoluto sopra quota 3.200, e con una media ben sopra il 12,8 messo a segno nel terzo anno di mandato dei tre precedenti presidenti Usa. Oltre i 9mila punti, per la prima volta, il tecnologico Nasdaq.
Senza contare che il triennio trumpiano ha coinciso con la lievitazione degli utili delle 500 maggiori aziende quotate (17mila miliardi di dollari) e con il mercato che ha restituito agli azionisti più del 50% degli investimenti. Inoltre, l'andamento di Wall Street è stato la cinghia di trasmissione del rialzo per le altre Borse. Deutsche Bank stima che i mercati azionari globali hanno incrementato in 12 mesi di 17mila miliardi la capitalizzazione, per un controvalore complessivo di 85mila miliardi.
È con questi numeri che sono state spazzate via le paure del primo scorcio dell'anno, quando il barometro congiunturale annunciava come imminente una recessione mondiale. I tre tagli al costo del denaro decisi dalla Fed, la politica di allentamento monetario mantenuta dalla Bce e l'impulso generale alla spesa pubblica sono stati i tre pilastri che hanno permesso alle Borse di impilare guadagni. La debolezza dell'economia è passata in subordine, al pari dei nodi non ancora sciolti.
A cominciare dalla guerra dei dazi fra Washington e Pechino. Ieri Trump ha portato un'altra ventata di ottimismo, con l'annuncio che la prima fase dell'intesa commerciale con la Cina è «conclusa» e che si aspetta di ospitare una cerimonia di firma con Xi Jinping «al momento giusto». Gao Feng, portavoce del ministero cinese del Commercio, ha chiarito che entrambe le parti stanno ancora verificando le procedure prima della firma.
Ma sullo sfondo resta la «grana» Huawei dopo le rivelazioni del Wall Street Journal, secondo cui il colosso cinese delle tlc ha ottenuto da Pechino 75 miliardi di dollari in sovvenzioni, agevolazioni fiscali e finanziamenti.
Un fiume di denaro che ha favorito la sua ascesa ai vertici delle telecomunicazioni globali. Da parte sua, Huawei ha accusato il quotidiano Usa di utilizzare «informazioni false». Uno scontro che rischia di minare la pace commerciale fra le due super-potenze.
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