«Ora siamo in una magnifica posizione per l'inizio della Fase Due. Non c'è mai stato nulla di simile nella storia statunitense!». Ancora carico di euforia dopo la firma messa mercoledì scorso all'accordo commerciale con la Cina, Donald Trump è già proiettato al futuro. Ben sapendo, tuttavia, che il secondo step con Pechino verrà compiuto, se tutto andrà bene, dopo le elezioni presidenziali di novembre.
Il rischio di qualche inciampo durante il percorso è però ciò che mettono in conto molti osservatori, poco convinti dell'effettiva attuazione dell'intesa che impegna il Dragone ad acquistare, nell'arco di due anni, 200 miliardi di dollari di merci Usa. Moody's fa da capofila al partito degli scettici, ricordando come l'intesa preliminare non risolverà le divergenze più cruciali tra le controparti. Risultato: «La fiducia delle imprese continuerà a essere zavorrata a livello globale» e la crescita mondiale rimarrà debole, con quella dei Pil Usa e cinese che rallenterà rispettivamente a +1,7% e +5,8%, nel 2020. Per la verità, anche la stampa cinese sottolinea la «enorme incertezza» attorno al futuro dei negoziati sulla parte rimanente della disputa tariffaria. «Potrebbe essere più difficile per Cina e Stati Uniti raggiungere un accordo complessivo sul commercio», avverte il tabloid Global Times, una sorta di megafono governativo.
Ma la raggiunta tregua fra le due super-potenze apre scenari poco piacevoli per l'Europa. Sylvain Broyer, capo economista europeo dell'agenzia di rating Standard and Poor's, ammonisce: «Il Vecchio Continente potrebbe ritrovarsi schiacciato tra i due fronti». Archiviato per ora il dossier China, The Donald non ha infatti perso tempo: ieri ha rivolto il mirino contro Germania, Francia e Inghilterra colpevoli, a suo dire, di non essersi schierate contro l'Iran.
Di qui la minaccia di introdurre dazi del 25% sulle auto europee, a conferma che le quattro ruote targate Ue non sono mai uscite dalla lista nera del tycoon da quando, nel maggio scorso, la Casa Bianca aveva per la prima volta ventilato il ricorso a misure punitive. Alle quali Bruxelles si era detta pronta rispondere con tariffe aggiuntive su 39 miliardi di beni a stelle e strisce. Non che la nuova intemerata di Trump abbia scosso le Borse (+0,74% Milano), ancora intente a inquadrare con più esattezza il deal sino-americano dell'altro ieri, ma qualche malumore attorno ai titoli automobilistici l'ha creato (-0,90% lo Stoxx 600 di settore, quasi piatta Fca).
Ma il clima potrebbe presto cambiare. Anche perché resta ancora aperto il fronte riguardante l'introduzione di dazi per 7,5 miliardi, cifra accordata dalla Wto agli Stati Uniti come misura compensativa per gli aiuti di Stato forniti ad Airbus.
Ricorda infatti Coldiretti che Trump è pronto ad aumentare i dazi
fino al 100% in valore su una nuova black list allargata dei prodotti che comprende tra l'altro vino, olio e pasta made in Italy oltre ad alcuni tipi di biscotti e caffe esportati negli Usa per un valore di circa 3 miliardi.
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