La norma, approvata allinterno del decreto anticrisi, è passata un po in sordina perché «minore» rispetto a quelle dimpatto più popolare. Eppure le conseguenze ricadranno sulle tasche di molti: perché viene concessa una corsia preferenziale ai sistemi aeroportuali «con traffico superiore ai 10 milioni di passeggeri annui» (Milano e Roma, cioè Sea e Adr) per laumento delle tariffe. Le compagnie aeree hanno tenacemente contrastato i rincari, sostenendo che in tempi di crisi è quanto meno intempestivo introdurre nuovi elementi di costo, ma le società di gestione, alle prese con piani dinvestimento di ampio respiro, lamentano che le tariffe - pubblicamente regolamentate - sono bloccate dal 2002. In qualche modo hanno ragione entrambi; o meglio, ciascuno fa il proprio mestiere. È certo però che a rimetterci sarà il passeggero, che proprio in queste settimane è vittima inerme degli scali e delle compagnie, vessato da ritardi, overbooking e mancate riconsegne dei bagagli.
Ma perché una «deroga» a Milano e Roma? E una deroga a che cosa? Il tema è complesso. Per anni si è lavorato a un testo, che nel 2007 è diventato una delibera del Cipe, per fissare rigidamente i criteri ai quali dovessero essere ispirati i programmi dinvestimento dei singoli aeroporti, e in base a tutto questo lEnac - lautorità per laviazione civile - avrebbe dovuto riconoscere gli aumenti delle tariffe con appositi contratti di programma. In queste settimane tale procedura, non priva di macchinosità, è stata portata a termine per gli scali di Pisa e di Napoli, in dirittura darrivo ci sono gli aeroporti della Puglia. Ma i grandi scali non hanno intrapreso questa strada preferendo, ora, le norme «ad hoc». Gli avversari non lesinano le critiche: le grandi società vogliono sottrarsi ai vincoli e alla trasparenza finora imposti. Ma è lo stesso Enac a voler fugare questi sospetti chiedendo al ministero dei Trasporti una direttiva con cui dar corso alla deroga voluta dalla legge; in ogni caso, lultima parola su investimenti e tariffe spetta sempre allautorità presieduta da Vito Riggio. Si tratterà, appunto, di una semplice «corsia preferenziale» per Milano e per Roma, più snella e più veloce, per arrivare a risultati analoghi. Venezia si aspetta a breve unestensione a suo vantaggio della norma.
Ma quali saranno questi risultati? Sia Adr che Sea sono impegnate in ambiziosi piani dinvestimento: Adr 1,5 miliardi entro il 2017, Sea 1,4 miliardi entro il 2020 (di cui 530 già spesi tra il 2004 e il 2008 e 590 per i prossimi cinque anni). Piste, moli, sistemi, servizi: di tutto e di più. Sostengono i gestori: laumento dei ricavi, che sarà riconosciuto sulle realizzazioni via via compiute, permetterà di aumentare la leva finanziaria consentendoci di attivare più agevolmente le linee di credito. Più investimenti uguale più infrastrutture uguale più attrattività per gli scali: non è un caso se sono stati «preferiti» dal legislatore quelli a più alta vocazione internazionale e intercontinentale. «Un Airbus 320 se atterra a Malpensa paga 1.600 euro, se atterra ad Amsterdam ne paga 3.300, a Parigi 2.800» sostiene la Sea; così che «quando si transita da un hub straniero si finisce per finanziarlo a danno degli aeroporti italiani». Da Roma fanno eco: «Atterrare al Charles De Gaulle costa tra il 50 e il 90% in più che atterrare a Fiumicino». I gestori sostengono che a tariffe più elevate corrisponderanno servizi migliori e che quindi le compagnie di tutto il mondo saranno indotte a preferire gli scali italiani. La tesi opposta osserva che si tratta di strategie di lungo periodo, mentre i rincari sono immediati (o quasi); inoltre, proprio in tempi di crisi, dovrebbe essere più facile attrarre vettori-clienti con tariffe basse piuttosto che alte.
A Roma ritengono prematuro prevedere gli aumenti tariffari.
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