Economia

"Decreto Fare, prima svolta da 2 anni"

Per il presidente Abi, Antonio Patuelli, "dal 2011 solo tasse, ora un buon segnale. Credit crunch? Le imprese si ricapitalizzino"

"Decreto Fare, prima svolta da 2 anni"

Ad Antonio Patuelli, presidente dei banchieri italiani, il «Decreto Fare» non dispiace affatto: «Abbiamo dato una valutazione positiva. Rappresenta un elemento di svolta. Non abbiamo visto niente del genere in questi ultimi due anni di crisi, nei quali si è pensato soprattutto a una maggiore tassazione». Anche il governo Letta non dispiace, anche se da esperto ex politico, Patuelli non si sbilancia e dice: «Ho aspettative».

Ora tocca a voi: Bankitalia dice che i prestiti a imprese e famiglie calano dal 2011. La stessa Abi, proprio ieri, nel rapporto mensile, ha quantificato in -3,1% annuo il calo dei finanziamenti. Siete sotto accusa da più parti.
«Lo so. Ma intanto mi lasci dire che nello stesso report mensile scriviamo che il rallentamento dei prestiti avviene in tutta Europa. Nel rapporto tra credito e Pil, nel primo trimestre l'Italia è migliore delle media dell'area Euro e della Germania in particolare: è l'effetto della recessione in atto. Mentre se guardiamo alle nostre banche, si vede che i prestiti sono tuttora superiori alla raccolta».

Ci vuole dire che il credit crunch non esiste?
«Di certo le banche stanno facendo il loro mestiere.Siamo “commercianti di denaro“, lo raccogliamo dai risparmiatori e lo prestiamo a famiglie e imprese, addirittura in eccedenza come le ho detto. La verità è che fino all'estate del 2011 gli impieghi salivano del 6%, poi la crisi dei “debiti sovrani“ con l'esplosione dello spread ha cambiato il mondo. Fino al 2011 si viveva con sovrabbondanza di liquidità. Le imprese erano inseguite dalle banche in concorrenza tra loro. Sui mutui era una corsa al ribasso dei tassi e al rialzo sull'importo da finanziare. Molti si sono abituati a questa euforia. Chi non voleva patrimonializzare, ricorreva al prestito. Ora bisogna capire che quella fase è finita».

Ora come si ricostruisce il rapporto banche-imprese?
«Bisogna che le imprese si ricapitallizzino di più rispetto al passato, abbiano meno bisogno di credito e cerchino la liquidità anche attraverso strade diverse, senza contare solo sulle banche. Come avviene in tutto il mondo».

Il rigore imposto dalla Banca d'Italia sulle valutazioni dei crediti ha creato ulteriori contrazioni nel credito?
«Come ha detto il governatore al Forex di Bergamo, il rapporto tra vigilanza e vigilati è senza intermediari: le associazioni, come la nostra, devono stare alla larga. Dopodiché mi limito a far notare che siamo vicini all'unione bancaria europea dove entreremo a testa alta. Siamo tra i più vigilati e patrimonializzati, senza aver ricevuto finanziamenti di Stato. Se ci saranno dei problemi, questi non riguarderanno le banche italiane, ma quelle di altri Paesi».

In tema di maggiore capitale, perché il piano di rivalutazione delle quote di Bankitalia è dormiente?
«Non è dormiente. Attendiamo atti, il momento è opportuno e c'è grande sintonia sia con Bankitalia, sia con il ministero dell'Economia».

Nelle banche i sindacati sono in allarme, temono nuovi esuberi. Hanno ragione?
«Non facciamo piagnisteo. Ma osserviamo, come il governatore, una serie di fenomeni: lo spread è sceso ma si è fermato a metà strada; c'è un deterioramento della qualità dei crediti, soprattutto tra le pmi; il settore bancario non è più ricco come un tempo, né gode più di protezioni pubbliche; le spinte di Bankitalia sono per una maggiore austerità. Allora bisogna ragionare tutti insieme costruttivamente: il nostro obiettivo non è quello di abituarsi a convivere con la recessione, ma di superarla».

Si aprirà una nuova stagione di concentrazioni?
«Se il tema è quello delle dimensioni, mi pare che per quelle grandi il mito sia caduto negli Usa. In Europa non c'è più la sola dimensione come elemento decisivo. E le dico che in Italia non vedo grande interesse delle banche estere. Fino a qualche anno fa c'era la fila. Ora quelle entrate in Italia lavorano con le stesse nostre regole e non c'è più quella grande spinta. La verità è che oggi l'elemento decisivo è il “Core tier 1“, il patrimonio. E acquistare una banca sotto patrimonializzata non è un gioco da ragazzi, per nessuno. Con le regole di Basilea 3 le aggregazioni bancarie avranno qualche difficoltà in più».

Vale anche per le Popolari?
«Non parlo delle singole famiglie bancarie.

Sono temi che appartengono a loro».

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