Ha già segnato la data sul calendario: lunedì 9 marzo, giorno di una rivoluzione per la Bce che ha anche il retrogusto dell'omologazione con le altre Banche centrali. Arriva per ultima Francoforte, dopo che per adottare il quantitative easing Mario Draghi ha dovuto duellare con l'ala dura favorevole all'ortodossia monetaria. Il presidente dell'Eurotower è convinto che, comunque vada, sarà un successo. Per rendersi conto del credito quasi illimitato che gode il programma di acquisto di titoli da 60 miliardi di euro al mese da qui fino al settembre 2016, basta dare un'occhiata alle previsioni nuove di zecca che il governatore della Banca centrale, in trasferta ieri a Cipro, ha tirato fuori dalla valigetta. Il 2015 farà segnare un +1,5% contro il +1% previsto in precedenza, poi la crescita salirà all'1,9% (+1,5%) nel 2016 e al 2,1% nel 2017. Percentuali che ai mercati sono piaciute, con lo spread scivolato a 92 punti (minimo dal 2008) e con la Borsa di Milano in rialzo dell'1,22%, mentre l'euro - su cui fa leva il Qe - è sceso a 1,1030 dollari, il livello più basso dal settembre 2003.
Nessuno, tra i maggiori organismi internazionali come Fmi e Ocse, aveva finora spinto così tanto sul pedale dell'ottimismo, ma l'ex governatore di Bankitalia considera l'azione combinata dei bassi prezzi del petrolio e delle misure adottate dalla Bce un toccasana per la ripresa. La politica monetaria espansiva «sta già producendo significativi effetti positivi» sull'economia dell'Eurozona, ha spiegato. Quanto all'inflazione, passerà dallo zero previsto per quest'anno al +1,5% nel 2016 fino al +1,8% nel 2017, uno scenario che, sulla carta, prospetta la rottamazione del Qe proprio alla fine di settembre del prossimo anno.
Nessun timore, da parte del banchiere centrale, che il bazooka spari a salve, non trovando la Bce un adeguato ammontare di titoli sovrani sul mercato secondario. «La metà dei bond dell'eurozona - ha tagliato corto Draghi - sono detenuti al di fuori dell'eurozona». La ripartizione degli acquisti dovrebbe riguardare per il 45% titoli di Stato, mentre per il 12% titoli di istituzioni sovranazionali come Efsf e Bei. La soglia dei 60 miliardi non sarà scritta nella pietra: le Banche centrali dei singoli Paesi potranno adottare il ritmo ritenuto più idoneo al momento. Il numero uno di Francoforte ha inoltre precisato che non saranno acquistati bond con tassi al di sotto di quello sui depositi presso la Bce (-0,20%). Se dalla «lista della spesa» vengono così depennati i titoli con rendimento negativo come quelli tedeschi, sotto un altro profilo lo spettro di intervento è molto ampio. Le altre esclusioni riguardano Grecia e Cipro, dal momento che l'Eurotower non comprerà asset «spazzatura», cioè sotto l'asticella dell'investment grade.
Draghi ha dedicato ad Atene una larga parte dell'intervento di ieri, ricordando come negli ultimi due mesi siano stati raddoppiati gli aiuti al Paese, pari ora a 100 miliardi.
«Possiamo dire che la Bce è la Banca centrale greca», ma per ora un finanziamento diretto non è possibile. Per poter ripristinare la deroga che consente di prendere in garanzia titoli junk, occorre «una valutazione positiva» della troika sul piano di assistenza in corso. Insomma: mano tesa, ma solo in cambio di riforme.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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