Il dado è (quasi) tratto: per sconfiggere l'Idra a due teste (scarsa crescita e bassa inflazione) che ne sta condizionando i programmi, la Bce è pronta a correre ai ripari con la correzione sostanziale del programma di quantitative easing, senza escludere la possibilità di un taglio dei tassi sui depositi. Mario Draghi, che nelle scorse settimane aveva via via posto più volte l'accento sulla necessità di armare il bazooka 2.0, mai come ieri era stato così esplicito: in occasione del prossimo direttivo, in agenda il 3 dicembre (col nuove calendario le riunioni vengono convocate ogni sei settimane), l'Eurotower avrà «bisogno di riesaminare» il piano di acquisto di titoli sulla base delle nuove proiezioni macroeconomiche.
Parole tanto chiare, senza alcun riferimento al probabile fuoco di sbarramento della Bundesbank, da schiacciare lo spread Btp-Bund sotto i 100 punti, mettere la sordina all'euro (in calo a 1,1165 dollari) e ridare il sorriso alle Borse (+2% Milano). Draghi sa di avere il board dalla sua parte. Non tutto, ma probabilmente una significativa maggioranza pronta a votare a favore di una rimodulazione del Qe. «Il Consiglio direttivo - ha detto - è disponibile e pronto a cambiare durata e dimensioni del Quantitative easing» che ha «sufficiente flessibilità» per essere adattato all'evoluzione dello scenario economico. Ma il fatto di non aver preso subito il toro per le corna non è forse segno di indecisione? «La nostra politica - ha spiegato l'ex governatore di Bankitalia - non è wait and see , ma work and assess ». Non attendismo, dunque, ma un lavoro teso a valutare in che modo intervenire. Draghi ha rivelato che durante la riunione «c'è stata una vivace discussione» su quali strumenti adottare. Qualcuno ha sollecitato un'immediata sforbiciata al tasso sui depositi presso la Bce, dal giugno scorso a -0,20%. «Un anno fa abbiamo deciso che si trattava del limite minimo, ma da allora abbiamo visto l'esperienza in altri Paesi», nella fattispecie Svezia e Svizzera, ha detto il numero uno dell'Eurotower. Gli analisti già ipotizzano una riduzione di 10-15 punti base, e questa ipotesi, commenta Barclays Research, viene ora scontata al 90% dal mercato entro giugno 2016 e al 40% già per dicembre contro il 50% e 20% rispettivamente di mercoledì.
Francoforte sembra insomma volersi tenere le mani il più possibile libere, usando - se sarà il caso - l'intero ventaglio di opzioni a disposizione. Un arsenale necessario per contrastare la bassa inflazione, verso cui vengono messi in conto rischi al ribasso anche a causa dell'euro, che «si è apprezzato in modo consistente negli ultimi tre-quattro mesi», e soprattutto in seguito al calo delle quotazioni del petrolio. Per vedere una prima risalita dei prezzi al consumo (a -0,1% nell'eurozona in settembre) occorrerà aspettare il 2016, ma anche nel 2017 sarà complicato centrare il 2% di target. L'altro versante delicato riguarda la crescita economica. La «resistente domanda interna», nella definizione di Draghi, non è sufficiente a controbilanciare le «preoccupazioni per le prospettive di crescita dei mercati emergenti». In particolare Cina e Brasile, due aree che potrebbero provocare ripercussioni negative sull'export. «Le indagini più recenti - ha aggiunto il presidente della banca centrale - indicano un passo nel complesso simile nel terzo trimestre di quest'anno» rispetto a secondo, quando il Pil è salito dello 0,4% contro il +0,5% del primo. Stime che non tengono conto dello scandalo Volkswagen e della crisi dei migranti: «È ancora troppo presto per valutarne l'impatto», ha detto Draghi.
Infine, dopo
aver più volte sollecitato il varo di riforme strutturali, Draghi ha maturato la convinzione che «ci sono stati progressi in diversi Paesi, non è che sono stati fermi. Si può fare di più, ma diversi Paesi si sono mossi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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