E se invece di comprare azioni, comprassimo uffici?

A quanti piacerebbe trasferirsi in campagna o al mare ma non lo hanno mai fatto per paura di trovare un lavoro meno redditizio? Questo problema ora potrebbe essere risolto

E se invece di comprare azioni, comprassimo uffici?

“Il tempo per comprare è quando il sangue scorre nelle strade”. La frase è attribuita al Barone Rothshild, che fece la sua fortuna comprando durante il panico che si creò a Londra dopo la battaglia di Waterloo.

Ma non è nient’altro che una delle tante applicazioni delle tecnica del mean – reverting, ovvero quando i prezzi si allontanano troppo dalla media sia al rialzo che al ribasso prima o poi tornano sulla media.

Che cosa succede se applicassimo la tanto apprezzata tecnica del mean – reverting invece che alle azioni all’immobiliare ? La tecnica del mean reverting ( alias di reverse o di contro-trend) parte dall’ipotesi che i mercati si muovano ad ondate per cui a momenti di euforia (eccesso di rialzo) seguano momenti di panico ingiustificato (eccesso di ribasso). Se si sceglie un asset interessante sotto il profilo fondamentale il giochino che uno si può inventare è semplice: quando tutti piangono tu compri, quando tutti ridono tu vendi. Uno dei miei tecnici informatici mi ha confidato ieri che aveva venduto 2 bitcoin. Stupito dalla cosa gli ho chiesto quando mai li avesse comprati. E lui mi ha risposto: “Nel 2014”. Non gli ho chiesto perché li aveva comprati perché so già la risposta: costavano poco. E’ l’applicazione diretta di una tecnica contraria a quella trend – following (o di breakout) per cui compri il bitcoin a 30.000 dollari perché sali sul carro della banda e speri che arrivi a 40.0000 dollari.

Una volta ho intervistato uno dei più noti imprenditori del settore ceramico che è maestro di questo approccio: lui compra quando tutti piangono e vende quando tutti ridono. Scherzando con lui mi ha detto che lui sa che l’economia si muove a cicli e capire dove è posizionato il ciclo è semplice: basta scrutare il volto delle persone e studiarne il comportamento. Quando sono dimesse, tristi e composte è il momento di comprare. Quando sono arroganti ed euforiche è il momento di vendere. “Basta guardare in faccia i market player e ti rendi conto in che parte del ciclo sei” mi ha confidato.

L’intervista è avvenuta 30 anni fa ma rimane di attualità oggi perché lui nei successivi 30 anni ha fatto sempre la stessa cosa: vendere quando tutti ridono e comprare quando tutti piangono.

E che cosa succede se applichiamo questa regola al mercato immobiliare ?

Sicuramente questo è il momento in cui gli uffici sono al minimo e vanno in asta giudiziaria a prezzi che fanno scappare da ridere: roba buona, nuova, in centri direzionali che viene offerta a 300 euro metro quadro e l’asta va deserta. Roba da fare il pieno, ovviamente. Ma voi direte: come ? E con il Coronavirus ? E il lavoro a distanza ? E questo e quello ?

Mean reverting signori … mean reverting.

L’articolo della scorsa domenica su queste colonne ha spinto il Dott. Alberto Lunghini di Reddy’s Group srl, società di consulenza immobiliare e patrimoniale, a condividere con me e i miei lettori del giornale il grafico che segue, che mostra il punto in cui ci troviamo del ciclo immobiliare in Italia almeno per l’edilizia residenziale (freccia blu al rialzo):

grafico casa tomasini

Ovviamente debbo mettere le mani avanti, sono previsioni e sono medie e dipende da tipologia di immobile e collocazione geografica, stato di manutenzione, centro e periferia, etc. etc. Però il grafico mostra bene una cosa: siamo sul punto di minimo anzi forse nel 2021 i prezzi si stanno già inerpicando verso l’alto.

I cambiamenti che derivano dal Coronavirus sono lampanti in tantissimi settori delle nostre vite, e molti altri che oggi non si riescono ancora a prevedere si mostreranno con il tempo. Ciò che è certo è che poche cose rimarranno com’erano prima, a partire dal lavoro… o meglio ancora, dai luoghi di lavoro.

Per questo articolo una ulteriore fonte di ispirazione è un’ianalisi fatta dal giornalista Dror Poleg per il New York Times secondo cui l’emergenza sanitaria non ucciderà gli uffici. Pensandoci in effetti sarebbe potuto capitare: tra smart working e lo sviluppo della tecnologia la possibilità di lavorare da casa per molti è diventata un’opzione concreta e reale. Pur causando una naturale distruzione delle abitudini di ieri, tuttavia, la capacità di lavorare da remoto potrebbe consentire alle persone di vivere (e lavorare) in modi e luoghi diversi rispetto al passato.

Già da prima della pandemia, del resto, erano nati alcuni problemi con il “mercato degli uffici” nelle poche città dove la classe creativa si era giorno dopo giorno ammassata e da qualche anno quelle che prima erano le culle di grandi menti come New York, Londra e Parigi hanno cominciato a cadere.

Una prima, immediata, motivazione è sicuramente rappresentata dagli alti costi degli immobili, ma non si tratta solo di questo.

A giocare un ruolo importante in questa decrescita è stato il fatto che grandi colossi come Amazon, Facebook, Google o Apple abbiano iniziato a spargere le loro sedi in diverse parti del mondo (non limitandosi più, dunque, solo alle metropoli).

E così per le grandi aziende essere in grado di espandersi in diversi luoghi strategici è diventato più importante che avere un’unica sede centrale; promuovendo le piccole cittadine.

E qui arriviamo al punto centrale di questo articolo del New York Times: non è tanto importante dove questa classe creativa viva, ma la sua abilità di vivere ovunque. Messa su un piano diverso, a quanti piacerebbe trasferirsi magari in campagna o vicino al mare ma non lo hanno mai fatto per paura di trovare un lavoro meno redditizio? Questo problema ora potrebbe essere risolto, dando la possibilità alle persone di guadagnare alti salari da praticamente ovunque.

Come dicevamo prima, però, ci sono stati altri segnali che hanno indicato questa crisi del mercato degli uffici. Nell’articolo del New York Times su cui ci siamo basati viene citato un esempio che riportiamo: Leesman, un’azienda che misura i dati dell’occupazione, nel 2019 ha realizzato uno studio per misurare quanto il luogo di lavoro influenzi nella produttività dei lavoratori prendendo in considerazione 719 mila impiegati in 4771 uffici in tutto il mondo. I risultati hanno fatto emergere il fatto che circa il 40% dei lavoratori non considera il proprio ufficio capace di stimolare la loro produttività.

Poi è arrivata ad accelerare il processo la pandemia, che ha portato gli impiegati a rivedere le loro preferenze, mostrando come molti siano felici di continuare a lavorare da remoto e vorrebbero trasferirsi se gli venisse data la possibilità. Certo c’è da considerare il fatto che questi studi riescono a dirci ben poco di come sarà il mondo post-Covid. Bisogna considerare infatti che molti di quelli che inizialmente si sono entusiasmati potrebbero cambiare idea se considerato un periodo più esteso, così come chi ha lottato per questo obiettivo potrebbe farlo molto meglio dopo aver imparato a padroneggiare i nuovi strumenti, aver trovato nuovi posti alternativi vicini a casa e dopo che bambini, coinquilini e conviventi sono rientrati a scuola o a lavorare. Allo stesso tempo le tecnologie che ci permettono di lavorare, imparare e socializzare da remoto possono solo migliorare e diventare ancora più forti.

Il mercato post-Covid che sta via via delineandosi ci offre poi diversi segnali. Proprietari terrieri e intermediari sottolineano che grandi compagnie come Google e Facebook durante la pandemia abbiano firmato nuovi contratti d’affitto. Queste aziende assumono migliaia di nuovi dipendenti in ogni loro sede, progettando la loro espansione con anni di anticipo. Parallelamente, tanti altri stanno accorciando i loro contratti di locazioni nell’attesa che le condizioni del mercato diventino più chiare.

Si potrebbe dire che la domanda di uffici diminuirà fino a un livello medio. I grandi cambiamenti saranno in come la domanda totale verrà rimescolata e cosa dovranno fare gli uffici per rimanere competitivi. La maggioranza delle attività di tanti uffici non si sposterà dentro casa, ma presumibilmente verrà ridistribuita intorno alle città, con una varietà di nuove aree di occupazione che esplodono salvando tante persone dal problema di doversi spostare simultaneamente verso un grande distretto industriale. Non è difficile immaginare che tanti lavoratori preferirebbero andare a lavorare a piedi o in bicicletta, non è vero?

Il risultato di tutto questo potrebbe essere che molti edifici presenti nelle più dense aree industriali dovranno competere con più forza per non soccombere e una piccola ma significativa percentuale di uffici diventeranno case, magazzini di e-commerce, cucine delivery, centri medici specializzati o sale riunioni.

Alcuni grandi datori di lavoro hanno già iniziato a sperimentare gli “uffici satellite” (quelli fuori dai poli industriali per intenderci). La sede principale rimarrà chiaramente la più importante e la base di tutto, ma saranno meno gli impiegati che dovranno restarci tutto il giorno, ogni giorno. L’ufficio diventerà sempre più un “prodotto da consumare” e ogni attività (riunione, incontri dei dipendenti, presentazioni ai clienti,…) avrà bisogno di uno specifico luogo in cui essere realizzata.

Anche questa trasformazione, come ogni grande cambiamento, sarà graduale, ma porterà sicuramente a conseguenze importanti.

Come sempre accade, il risultato sarà dolce amaro: chi saranno alcuni nuovi vincitori e una moltitudine di perdenti, rappresentati da coloro che non

vogliono (o non riescono a) evolversi.

E chissà che un’arma per affrontare questa situazione non sia proprio quella del mean reverting: se Google e Facebook stanno comprando uffici non è forse il momento di farlo anche noi ?

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