Economia

Le banche americane inciampano al primo esame dei conti, che arriva dopo il via libera alla riforma finanziaria voluta da Obama. Le norme in vigore da agosto, che comprendono requisiti patrimoniali più rigorosi, obblighi di regolamentazione dei derivati, nonché la futura separazione del criticato (e fruttuoso per gli istituti) trading proprietario, non sono passate indenni nei bilanci del terzo trimestre. La sola svolta nella gestione dello scoperto sulle carte di credito, che fino alla scorsa estate comportava un’imposta di 35 dollari ogniqualvolta si sforasse anche solo di 1 dollaro la propria disponibilità, costerà alle banche quasi 2 miliardi di mancati introiti quest’anno. Si pensi che dal 15 agosto al 30 settembre la nuova legge ha cancellato 380 milioni di incasso per Wells Fargo e 360 milioni per Bank of America. Quest’ultima rappresenta l’esempio più eclatante della zavorra delle nuove normative: la svalutazione del valore dell’attività delle carte di credito ha gravato per 10,4 miliardi sul bilancio del terzo trimestre, provocando una perdita di quasi 7 miliardi e mezzo. Una cifra astronomica che potrebbe addirittura toccare il picco di 48 miliardi se venissero seguiti gli impegni richiesti dalla Fed di New York e di alcuni grandi azionisti come il gigante dei fondi Pimco, con il riacquisto di debiti legati a mutui considerati irregolari. O meglio, riconducibili a pratiche poco trasparenti e carenti di informative nell’allocazione dei prestiti. Proprio lo spettro di un nuovo scandalo dei mutui subprime sta agitando le acque a Wall Street, in scia al caos che si è venuto a creare nelle verifiche dei pignoramenti immobiliari. Il mancato preavviso nelle segnalazioni e nelle informative alla clientela rischia ora di paralizzare le operazioni e riaprire i dossier degli ultimi due anni. Non sono però solo queste variabili, per certi versi straordinarie, a pesare sul comparto ma, ben più grave, la progressiva discesa delle attività di investimento.
I ricavi dalle contrattazioni su valute, materie prime e reddito fisso, sono mediamente scesi a fine settembre del 33%, segnando la peggiore performance dal fallimento di Lehman Brothers nel 2008. Il giro d’affari complessivo degli istituti americani è sceso dell'8% su base annuale, e del 16,3% rispetto ai primi due trimestri del 2010. Le poche note positive arrivano dai miglioramenti (nell’ordine del 60%) delle attività di advisory che si confrontano con un 2009 particolarmente nero, e dalle rivalutazioni dei crediti in sofferenza. Conti alla mano, questi adeguamenti contabili hanno fruttato il 67% degli utili complessivi di Bank of America, il 32% di quelli di Citigroup, e il 20% circa di quelli di Wells Fargo. Il totale dei dividendi che le sei maggiori istituzioni finanziarie statunitensi hanno predisposto per il trimestre arriva a soli 51 centesimi ad azione contro i 2,49 del 2007. Se non proprio finita, che l’abbondanza tra le banche americane si stesse ridimensionando l’avevano capito in molti da tempo. Il guru del settore, l’analista di Crédit Agricole Make Mayo ha calcolato, suffragato da statistiche in costante declino, che il decennio che si presenta sarà il peggiore dal punto di vista dei ricavi degli ultimi 80 anni. Per Meredith Whitney, la donna che aveva previsto l’impatto della crisi dei mutui subprime nei bilanci delle banche, sono addirittura a rischio 80mila posti di lavoro nei prossimi 18 mesi a Wall Street.

Lo scetticismo degli esperti si traduce in valutazioni inferiori alla metà di quelle dell’ultimo decennio se rapportate alle attività in portafoglio. I numeri di Borsa avallano queste considerazioni. Da inizio anno il settore finanziario è stato tra i peggiori, perdendo oltre il 12% a fronte di un rialzo dell’indice S&P 500 del 4% circa.

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