Effetto domino da 4,2 miliardi sull'export dei componenti auto

I big tedeschi restano senza cavi a causa del conflitto in Ucraina. Produzione a singhiozzo. E il settore lancia l'allarme

Effetto domino da 4,2 miliardi sull'export dei componenti auto

La guerra scatenata dalla Russia in Ucraina mette a forte rischio le forniture italiane destinate alla Germania per un valore di 4,2 miliardi, il 21% della produzione totale italiana di componenti per auto. L'Ucraina, insieme soprattutto al Marocco, è infatti il Paese dove vengono assemblati i cablaggi, il «fascio cavi» di collegamento all'interno di un veicolo. E se la produzione di questi cablaggi si esaurisce, il crash della produzione automobilistica è inevitabile. Come sta già accadendo, a guerra da poco iniziata, negli impianti tedeschi di Volkswagen, Audi, Porsche e Bmw. «E le ricadute - avverte Pierangelo Decisi, presidente della multinazionale Sigit (interni per auto) e vicepresidente del Gruppo Componenti di Anfia - si allargano anche alle fabbriche di auto in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Meno impattati dal problema cablaggi sono gruppi come Stellantis e Renault che fanno riferimento, per queste forniture, ai poli nordafricano e serbo; anche Mercedes si rivolge all'ex Jugoslavia». Intanto, dal 10 marzo, Volkswagen sospenderà la produzione dei suoi furgoni per almeno 12-13 settimane.

«Il dato di 4,2 miliardi delle forniture per i big tedeschi - spiega Decisi - si riferisce al 2021, ma ora la tempesta perfetta si è trasformata perfettissima: in poco più di due anni si sono concentrati pandemia, crisi di chip e materie prime, energia alle stelle e ora la guerra in Europa».
Sigit, intanto, è tra le imprese italiane che fa i primi conti con l'impatto sulle sue attività: il 40% della forza lavoro polacca è mediamente ucraina e gli operai più giovani si sono già dimessi per rientrare in Patria a combattere. Tra il fermo produttivo in Russia, i problemi causati dalle mancate forniture anche all'elettrodomestico in Ucraina e i problemi indotti ai siti di Sigit nel resto dell'Est Europa, per il 2022 il danno è quantificabile in una decina di milioni. «In Polonia - aggiunge l'imprenditore svizzero-torinese - dobbiamo fermare due impianti per 12 settimane e, visto che non esiste la cassa integrazione, siamo chiamati a sostenere queste famiglie». Ma fino a quando sarà possibile farlo?

Da qui la proposta al premier Mario Draghi di chiedere alla Commissione Ue di applicare una sorta di cassa integrazione generale da utilizzare nei momenti critici, sull'onda di quanto è stato fatto dopo i lockdodown per la pandemia. «Quella dell'auto - aggiunge Decisi - è la filiera più corta, con scorte zero, dove in 24 ore si può generare il blocco totale. Bisogna garantire subito fondi alle aziende con i quali far fronte ai bisogni dei dipendenti. Ma applicare gli ammortizzatori solo per gli impatti in Italia e non nei Paesi colpiti direttamente dalla guerra creerà un disastro: loro affonderanno e noi a chi venderemo?».

Quanto sta accadendo in Ucraina e nei Paesi limitrofi pone una riflessione anche sulle delocalizzazioni produttive che hanno caratterizzato l'Est Europa, e non solo, per i bassi costi della manodopera.

«A questo punto - osserva il presidente di Sigit - bisogna pensare al cosiddetto Near regional reshoring facendo in modo che le grandi compagnie, tra cui i costruttori, tengano conto, nelle loro analisi, una volta effettuati gli ordini, anche delle interruzioni dei flussi di approvvigionamento che possono derivare non solo da eventi geopolitici, ma anche per i cambiamenti climatici e le possibili pandemie che ancora non sono finite».

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