L'industria del «bianco», che con l'auto ha fatto la storia dell'impresa italiana del Dopoguerra, torna a dare segnali di vita dopo una crisi nerissima che ha visto fallire, o essere acquisiti, marchi storici di elettrodomestici come Zoppas e Merloni. E lo fa proprio dalle fabbriche targate Electrolux, l'azienda svedese della famiglia Wallenberg che negli anni Ottanta comprò la Zanussi per un piatto di lenticchie, 30 miliardi di vecchie lire. Quella Electrolux che negli ultimi mesi, dopo essere stata un esempio «glocal» per tutti i colossi del settore, ha minacciato di andarsene dall'Italia chiudendo le fabbriche tra Veneto e Friuli, storico distretto che negli anni ha visto sorgere una radicatissima rete di sub-fornitori, anch'essi piegati dalla crisi e oggi (in molti casi) emigrati nei mercati dell'Est dove, nel tempo, produrre è diventato più conveniente. Anche per un settore con numeri da capogiro e un fatturato di circa 12 miliardi, una quota di export al 60%, e imprese che danno lavoro a 130mila dipendenti.
Tutti numeri che, però, hanno iniziato a traballare già da prima della crisi economica del 2008. Il solo mercato italiano ha perso oltre 20 punti rispetto al 2007, e i volumi produttivi sono a un livello inferiore a quello dell'87. Così, complice la graduale contrazione dei consumi, la scarsa competitività del mercato italiano, con costi del lavoro e dell'energia insostenibili, la delocalizzazione sembrava una final destination per questo settore.
Eppure ieri, dopo aver chiuso l'ultimo trimestre del 2013 in rosso, Electrolux ha diffuso dati sorprendenti, che potrebbero essere il segnale di un'importante ripartenza, oltre che di una nuova strategia sul mercato italiano. Tra gennaio e marzo la compagnia svedese ha registrato utili in aumento del 19%, a 65,5 milioni di dollari, molto al di sopra delle attese degli analisti. E le stime parlano di una crescita 2014 nell'Ue intorno all'1-3%. Ma più dei numeri, a dare corpo a questo scatto del «bianco» è stato ieri l'ad di Electrolux, Keith McLoughelin: «Dopo un lungo periodo di declino, il lavoro per ripristinare la redditività in Europa e per ridurre i costi si sta progressivamente riflettendo sulle prestazioni finanziarie. Il mercato si è stabilizzato e la domanda è aumentata in Germania, Francia e Italia».
Dichiarazioni ottimiste a cui ora dovranno seguire i fatti, in particolare nella trattativa governo-sindacati. Nell'ultimo incontro al ministero dello Sviluppo si è stabilito che i quattro impianti italiani (impiegano quasi 6mila persone) resteranno aperti e l'azienda ha presentato un piano industriale per l'Italia che prevede 150 milioni di investimenti in 3 anni e la sostenibilità per tutte le fabbriche e linee di prodotto. «Tuttavia, la trattativa è ancora in corso - ricorda al Giornale il segretario nazionale della Fim-Cisl, Anna Trovò - ed è tutt'altro che conclusa. Un nuovo tavolo si terrà lunedì per fare il punto sugli investimenti, l'impegno delle Regioni sui siti industriali e il futuro dei lavoratori in solidarietà. Certo, questi numeri ci pongono in una situazione di forza nella trattativa e speriamo di poter chiudere per metà maggio, in particolare riequilibrando la produzione tra il sito polacco e quello di Porcia a cui sono destinate le produzioni di alta gamma». Una strategia molto simile a quella adottata da Fiat, e che ora è al centro di una serrata trattativa, già sostenuta dal governo con la «decontribuzione dei contratti di solidarietà», ricorda Trovò. E se ormai i 1.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.