La resa dei conti tra Vivendi e Elliott per Telecom è arrivata. Oggi alle 11 a Rozzano, nei dintorni di Milano, si tiene l'assemblea che potrebbe cambiare la governance della società: chi vince farà eleggere in cda 10 membri su 15, mentre al perdente andranno i restanti 5 posti. È attesa un'affluenza record, intorno al 66-67%.
Elliott possiede circa il 9% di Telecom e può contare sull'appoggio della Cassa Depositi e Prestiti. Entrata nel capitale con il 4,2% per poi arrotondare la partecipazione fino a quasi il 5%, la Cassa presieduta da Claudio Costamagna ha depositato l'intera quota e oggi non si asterrà sul voto schierandosi con il fondo di Paul Singer. Quindi Elliott e Cdp partono da circa il 14%. Il progetto di Cdp sarebbe quello di realizzare una unica infrastruttura per la rete in fibra mettendo insieme Telecom e Open Fiber. Un progetto analogo, in fin dei conti, a quello attuale di Tim. Ma è proprio sulle reali intenzioni di Vivendi che da mesi una parte del mercato (ed evidentemente anche il governo) ha perso la fiducia.
Se la Cdp italiana sta con Elliott, l'omologa francese Caisse des Dépôts (con circa lo 0,8%) appoggerà la lista di Vivendi che parte da poco meno del 24%. Parigi appoggia il direttore generale Amos Genish (al primo cda utile, già lunedì dovrebbe essere nominato ad). Anche Elliot comunque ha espresso fiducia nel piano presentato da Genish che dovrebbe rappresentare l'anello di congiunzione tra le posizioni contrapposte di americani e francesi. Il primo vero banco di prova per il manager israeliano sarà il cda del 16 maggio sui conti del primo trimestre. C'è poi il piano per lo scorporo della rete per il quale c'è un tavolo aperto all'Agcom: non si tratta di uno smantellamento di Tim che nelle intenzioni di Elliott conserverà una quota di minoranza della rete. L'operazione, fanno sapere ambienti vicini al fondo, servirà anzi a far emergere il valore dell'infrastruttura e quindi del gruppo tlc, che verrà dunque valorizzata dall'operazione e potrà accelerare la riduzione del debito di 26 miliardi.
Ora la parola spetta ai soci, chiamati a rinnovare l'intero board e, con esso, a decidere chi avrà la gestione. Con il 66% di capitale presente, con Vivendi al 24 ed Elliot-Cdp al 14%, in lizza ci sarà il 28% circa. Per fare il ribaltone al fondo Usa serve raccogliere quasi il 20%. Decisive potrebbero essere le astensioni tra i fondi indecisi o delusi: un 4-5% abbasserebbe il quorum a favore di Vivendi. Tra i principali soci c'è Blackrock con il 4,97 per cento. Con partecipazioni superiori al 2,7%, ci sono Jp Morgan, Northern Cross e Brandes; quindi The Vanguard (1,88%), Norges Bank (1,86%) e Canada Pension (1,77%) mentre People China Bank è accreditata dell'1,32% e Caixabank ha l'1,03%. Secondo un'analisi apparsa ieri sul blog del Financial Times, la battaglia in Tim «accenderà» i grandi istituzionali solitamente passivi sulle questioni di governance.
Come Vanguard, Blackrock e State Street che complessivamente detengono il 7% e che potrebbero sostenere Elliott condividendo la tesi che Vivendi ha trattato Tim come un'estensione dell'impero di Bolloré e che il valore presente nella società di tlc è stato trasferito verso il gruppo controllante piuttosto che agli altri azionisti.
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