Eni cambia pelle e scommette sul gas

Descalzi: «Più rinnovabili». E l'obiettivo del gruppo al 2050 è smarcarsi dal greggio

L'ad dell'Eni Claudio Descalzi
L'ad dell'Eni Claudio Descalzi

Non chiamatela più oil company. Eni cambia completamente pelle e guarda al futuro tra gas e rinnovabili. Un passo storico, all'interno della transizione energetica già in atto da tempo, per il quale l'ad Claudio Descalzi che ha parlato di «punto di svolta» - ha studiato un inusuale doppio piano: il primo con orizzonte temporale al 2023 e il secondo, a lunghissimo termine, con scadenza 2050. Trent'anni in cui l'azienda tenderà a trasformarsi gradualmente in una gas company con una forte vocazione verde. Un cambio di passo che ha interessato anche altre imprese italiane, di recente Saipem e big player come Repsol e Bp.

Il piano d'azione prevede che, fino al 2025, la produzione di petrolio continui a crescere (nel 2019 è salita a livelli record, con una media di 1,92 milioni boe/giorno nel quarto trimestre), per poi lasciare progressivamente spazio al gas, che nel 2050 costituirà circa l'85% della produzione totale. Le rinnovabili aumenteranno a oltre 55 GW nel 2050, grazie al contributo di raffinazione bio, chimica bio, riciclo e progetti di conservazione delle foreste e di stoccaggio di CO2.

«L'Eni del futuro ha commentato Descalzi sarà quindi ancor più sostenibile: tra trent'anni le emissioni della nostra produzione saranno scese dell'80%, ben oltre la soglia del 70% indicata dagli Accordi di Parigi». I principali obiettivi cui tendere al 2050 riguardano, in sintesi, una produzione per l'85% a gas, ma sostenibile: sono previsti progetti di cattura e stoccaggio della CO2 per un totale di oltre 40 milioni di tonnellate/anno; una forte crescita delle rinnovabili, oltre 55 GW al 2050; la graduale conversione dei siti di raffinazione grazie a nuove tecnologie per la produzione di prodotti decarbonizzati da riciclo di materiali di scarto; l'incremento della raffinazione «bio» a 5 milioni di tonnellate. Infine, la trasformazione delle stazioni di servizio in punti vendita per la distribuzione esclusiva di carburanti sostenibili.

Per trasformare l'Eni nel lungo periodo, i suoi vertici metteranno intanto in campo, nei prossimi 4 anni (2023), investimenti per 32 miliardi con un 74% destinato all'upstream (con focus su alcune aree chiave, a partire dal Medioriente) e rafforzeranno le rinnovabili con uno sforzo di 4 miliardi (il 30% in più del precedente piano) per fonti verdi, efficienza energetica, economia circolare e abbattimento del flaring, la combustione di gas associato alla produzione di olio (in particolare in Nigeria e Libia).

Il tutto, potendo contare anche sulla capacità di abbassare ulteriormente la neutralità di cassa (cioè il livello che consente al gruppo di ripagare con la propria cassa dividendi e investimenti) a 45 dollari al barile (oltre 10 dollari sotto il livello attuale).

Agli azionisti -e in particolare al Tesoro che con il 30%, posseduto in parte direttamente e in parte tramite Cdp, riceverà circa 900 milioni - Eni consegnerà una cedola in crescita a 0,89 euro per azione (+3,5%) e una politica di remunerazione progressiva sostenuta anche da una manovra di riacquisto di azioni proprie (buyback) per 400 milioni nel 2020. Una politica decisa dopo aver licenziato i conti 2019 chiusi con un utile netto adjusted a 2,88 miliardi (-37% rispetto al 2018), un utile operativo adjusted a 8,6 miliardi (-24%), e con ricavi sono scesi a 69,9 miliardi (-8% sull'anno) e un debito di 11,5 miliardi (+38%), a causa dell'acquisizione di Adnoc Refining.

Nel quarto trimestre l'utile netto adjusted è sceso del 62% a 0,55 miliardi. In una Piazza Affari in profondo rosso, e con il petrolio in calo, Eni ha chiuso la seduta in negativo del 5,1% a 11,16 euro. Il Tesoro in primavera deciderà sulla riconferma o il rinnovo dei vertici.

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