Eni fa la dieta e taglia il dividendo

Un miliardo di cedole in meno e stop al buy back. Descalzi: «Scelta giusta», ma il titolo perde il 4,5% in Borsa

LondraEni risponde al crollo del prezzo del petrolio, dimezzatosi in un anno, varando un piano fatto di tagli, sia sul fronte dei dividendi sia degli investimenti, e di rinunce, anche per i soci: il gruppo ha sospeso il piano di buy back da 6 miliardi e previsto ingenti cessioni. Negativa la reazione della Borsa, dove il titolo (sospeso al ribasso), chiude in calo del 4,5% a 15,58 euro. A pesare, soprattutto, l'annuncio di un dividendo pari a 0,8 euro (in riduzione, per la prima volta dal 2009, dagli 1,12 euro pagati sul 2014). La cedola, inferiore alle attese degli analisti, è stata però definita dal top management di Eni, un «floor», un punto di partenza per un futuro di cedole più tonde: il rendimento resta inoltre prossimo al 5%. Per gli azionisti significa però «rinunciare» a oltre un miliardo; solo per il Tesoro (cui fa capo direttamente o tramite la Cdp il 30% di Eni) l'ammanco si avvicina a 350 milioni.

«Il board che rappresenta tutti gli azionisti ha approvato la manovra», hanno detto il presidente Emma Marcegaglia e l'ad Claudio Descalzi di fronte alla comunità finanziaria riunita ieri a Londra per il primo piano firmato dal cda eletto la scorsa estate. Le parole d'ordine per i prossimi quattro anni sono flessibilità finanziaria e rigore per garantire crescita di valore, solidità di bilancio e una generazione di cassa necessaria a raggiungere gli obiettivi operativi e, comunque, remunerare gli azionisti con dividendi in crescita progressiva con i risultati attesi.

Il piano si fonda su una previsione del prezzo del greggio a 55 dollari a barile per l'anno in corso che sale poi a 70 dollari sul 2016, a 80 dollari l'anno successivo e 90 al barile a fine periodo. Per tenere il passo con uno scenario in profondo cambiamento, Eni infatti ha previsto nei quattro anni 48 miliardi di investimenti, quasi 10 miliardi in meno rispetto al piano precedente (-17%). Pur diminuendo gli investimenti, Eni punta a un aumento della produzione di idrocarburi del 3,5% l'anno, pari a 650mila barili di petrolio in più al giorno rispetto agli attuali 1,6 milioni. Secondo quanto spiegato poi dalla prima linea del gruppo, la nuova produzione di idrocarburi garantirà un flusso di cassa operativo addizionale di 19 miliardi nei quattro anni del piano, a cui si aggiungeranno altri 3 miliardi dalla divisione Gas&Power, 1,5 miliardi dalla divione Refiniry&Marketing (per cui è previsto a fine anno il pareggio a livello di ebit e di cash flow operativo), 400 milioni dalla divisione chimica (per cui il pareggio è fissato al 2016).

Un contributo essenziale alla generazione di cassa deriverà, infine, dal consistente piano di cessioni per 8 miliardi (complessivamente un miliardo in più rispetto al precedente piano) che non comprende la valorizzazione del 42,9% detenuto da Eni in Saipem (-5,7% a 9,95 euro) e che, solo a livello di capitalizzazione di mercato, vale circa 6 miliardi. Descalzi, infatti, ha confermato la volontà di procedere al deconsolidamento della partecipazione quanto meno a livello strategico, pur non potendo prendere posizione su modalità e tempi dell'operazione a causa della volatilità dei mercati.

Le attività messe in vetrina dal piano industriale riguardano invece per il 50% le partecipazioni nelle recenti scoperte esplorative in cui Eni intende diluirsi, pur mantenendo il ruolo di operatore, la parte restante deriva dalla vendita delle residue quote in Snam e Galp e, infine, gli asset maturi upstream e attività non core nel downstream.

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