Niente «clausola di onorabilità» per Eni: a sorpresa, l'assemblea degli azionisti ne ha bocciato l'introduzione nello Statuto, regalando così l'ultima soddisfazione a Paolo Scaroni. L'ad uscente si prende la sua rivincita nei confronti del Tesoro e del premier Mattei Renzi, che avevano esplicitamente chiesto di stabilire l'ineleggibilità in consiglio d'amministrazione - ed eventualmente la decadenza - dei condannati, anche solo in primo grado, per reati di carattere essenzialmente societario. «Una norma di questo tipo è nello statuto della Esso, della Apple, della Total e della Siemens? No, non ho capito perché dobbiamo averla noi», aveva polemicamente replicato Scaroni. Ieri la votazione ha visto favorevoli alla clausola il 59,45% del capitale, mentre i contrari sono stati il 39%. Essendo necessario il 66,7% del capitale presente la proposta non è passata, con tanto di applauso in platea.
E Scaroni non ha mancato di sottolineare la sua vittoria, sia pure fuori tempo massimo: «Io credo di aver detto già che nessuna società al mondo aveva clausole di questo tipo: siccome il mondo sono i nostri azionisti, si sono espressi». Ovvero, i fondi, presenti numerosi in assemblea, dal fondo statale della Norvegia con l'1,54% a BlackRock con lo 0,48% del capitale: sono loro che, allergici a tutto quello che possa sembrare una forma di dirigismo, hanno dato una mano ad affossare la proposta, visto che Cdp e Tesoro contano per poco più del 50% del capitale. «Rispettiamo il risultato del voto», si è limitato a commentare il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Si chiude, così, l'era Scaroni, durata nove anni: «Adesso mi riposo, seguite Eni e Claudio Descalzi con passione», si è congedato dalla stampa, con una punta di emozione, l'ex ad. Oggi, il cambio della guardia con la distribuzione delle deleghe ai nuovi vertici: Descalzi, appunto, che il primo cda nominerà ad, ed Emma Marcegaglia, che prenderà il posto di Giuseppe Recchi alla presidenza, con il 98% dei voti dell'assemblea.
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